Israele si nasconde dietro la Shoah per umiliare i palestinesi
Di certo questo articolo non è tacciabile di antisemitismo, visto chi lo scrive, con una certa onestà intellettuale… (N.d.R.)
di Moni Ovadia
“Isaia, capitolo 1, versetto 17. Imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate ragione all’orfano, difendete la causa della vedova”. Moni Ovadia – attore, musicista e scrittore di origini bulgare e di cultura ebraica – cita a memoria un passo della Bibbia per commentare l’ennesima aggressione dell’Esercito Israeliano ai danni dei cittadini palestinesi cacciati – dai coloni israeliani – dalle loro case a Gerusalemme Est, poi bombardati da una delle aviazioni più potenti del mondo nella Striscia di Gaza. Intervistato da Fanpage.it, Ovadia non ha dubbi sul dove schierarsi: “Dalla parte dei palestinesi, cioè dalla parte degli oppressi. Essere ebrei, e io lo sono, significa stare dalla parte dei più deboli”.
Da questa parte del mondo quello di questi giorni viene descritto come uno “scontro”, addirittura come una “disputa immobiliare” su alcune case a Gerusalemme Est. Cosa ne pensa?
È una narrazione completamente distorta. Non c’è nessuno scontro, perché non c’è paragone tra la forza dell’esercito israeliano e quella della resistenza palestinese. Parliamo di un’aggressione vera e propria e di una superiorità soverchiante da parte di Tel Aviv. Da anni Israele occupa illegalmente le terre dei palestinesi e sottopone a continue e quotidiane umiliazioni quel popolo nell’indifferenza della comunità internazionale. Quello di Israele è un governo razzista e segregazionista; se non fosse per le elezioni direi anche fascista. Vogliono cacciare i palestinesi dalle loro case, cancellare la loro identità culturale, e lo stanno facendo forti della compiacenza di gran parte delle potenze mondiali, compresi paesi arabi come Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Quello palestinese è il popolo più solo e indifeso del mondo.
Anche in questo caso la comunità internazionale sembra distinguersi per equilibrismo… Si fanno appelli al “cessate il fuoco”, si condanna il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, ma non si entra mai nel cuore del problema, l’occupazione militare di Gerusalemme Est.
I governi di USA e UE, salvo rare eccezioni, sono composti da ipocriti perché accettano il ricatto degli israeliani sulla Shoah. Io sono ebreo, so cosa è stata la Shoah, e per questo mi domando come si possa legittimare la politica cattiva e sadica del primo ministro Benjamin Netanyahu nei confronti dei palestinesi. Israele continua a giocare il ruolo del povero, piccolo paese indifeso, ha invece uno degli eserciti più potenti del mondo e l’appoggio incondizionato di USA e UE, mentre la Cina se ne lava le mani. Uno dei suoi pochi nemici storici, la Siria, sarà fuori gioco per 50 anni. Dell’Iran non parliamo: ogni volta che alza la voce, Israele la fa pagare ai palestinesi.
Il suo giudizio sul governo israeliano è molto duro, ma qual è quello sulla società civile israeliana?
Ho solo fonti israeliane, per scelta non uso fonti arabe né palestinesi. C’è in Israele una minoranza coraggiosa che tiene in vita i valori dell’ebraismo e denuncia da anni i crimini di Israele. Parlo di personalità come Gideon Levy, firma storica del quotidiano Haaretz, che accusa il governo di praticare politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi. Parlo della sua collega Amira Hass, che racconta i soprusi praticati ai palestinesi. E parlo di un politico moderato come Avraham Burg, ex presidente della Knesset (il parlamento israeliano), che ha chiesto formalmente di non essere più designato come ebreo nel registro della popolazione israeliana. Lui dice: ‘Se gli ebrei sono padroni di Israele non voglio essere ebreo’. Cito: ‘Non smetterò di sentirmi un ebreo ma non voglio più far parte della collettività ebraica in Israele, non voglio percepirmi come un privilegiato rispetto ai non ebrei, chiedo di essere un cittadino israeliano e basta’. Sa perché questa scelta?
No.
La legge sullo stato nazione prevede che in Israele siano titolari di pieni diritti solo i cittadini ebrei, ovvero i figli di madre ebrea. I palestinesi, invece, no. Eppure sono almeno 1,8 milioni. Quella del governo israeliano nei confronti dei palestinesi è, come rilevato di recente anche da Human Right Watch, una politica di apartheid sotto alcuni punti di vista non troppo diversa da quella praticata in Sudafrica.
Si arriverà mai alla pace tra Israele e palestinesi? E a quale pace?
L’importante è che non sia la pace del più forte imposta al più debole. La pace si può fare solo tra eguali: finché gli israeliani non si ritireranno dalle terre occupate, finché cioè non verrà ristabilita la legalità internazionale, non si potrà iniziare nessun vero negoziato di pace.
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Trump attacca l’Iran
Il Pentagono americano ha confermato che l’ordine è arrivato “direttamente dal presidente” Donald Trump.
La scelta delicata del Comandante in Capo nordamericano ha portato le già gravi tensioni tra USA e Iran alle stelle, ad un passo da un enorme conflitto militare che potrebbe scatenare una guerra globale.
Gli Stati Uniti hanno sollecitato i cittadini americani a lasciare l’Iraq “immediatamente”, citando con un linguaggio diplomatico “tensioni accresciute in Iraq e nella regione”.
Una dichiarazione del Dipartimento di Stato americano ha aggiunto che “a causa degli attacchi della milizia sostenuti dall’Iran contro il complesso dell’ambasciata americana, tutte le operazioni consolari sono sospese. I cittadini statunitensi non dovrebbero avvicinarsi all’ambasciata”.
A detta degli americani tutto ciò accade dopo che una folla ha tentato di assaltare l’ambasciata USA a Baghdad per protestare contro gli attacchi aerei statunitensi contro una milizia appoggiata dall’Iran.
Il leader libanese di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah, secondo quanto riferito dall’emittente Al Manar, ha affermato che il suo gruppo continuerà il percorso di Soleimani dopo la sua morte.
Nasrallah ha affermato che gli Stati Uniti non hanno raggiunto i loro obiettivi con questo “grande crimine” e che la punizione degli americani sarà una “responsabilità di tutti i combattenti”.
I militari israeliani sono in stato di allerta. Le forze armate israeliane avevano intensificato l’allerta tra i timori che l’Iran potesse colpire attraverso i suoi alleati regionali come Hezbollah a nord o attraverso il gruppo palestinese Hamas e la Jihad islamica a Gaza.
I funzionari del ministero degli Esteri e della difesa israeliani hanno annunciato un allarme di massima sicurezza alle delegazioni israeliane d’oltremare, temendo ritorsioni da parte dell’Iran dopo la morte di Soleimani.
Il ministro della difesa israeliano ha convocato i capi militari e di sicurezza del paese a Tel Aviv.
Nel frattempo, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha interrotto il suo viaggio in Grecia.
La Siria, attraverso l’agenzia di stampa statale SANA, che ha citato una fonte del ministero degli esteri, ha condannato l’uccisione di Soleimani.
La fonte ha detto che l’attacco ha costituito una “grave escalation” e ha ribadito la responsabilità degli Stati Uniti per l’instabilità in Iraq.
L’eminente religioso sciita iracheno Muqtada al-Sadr ha detto che l’uccisione di Soleimani invita le sue milizie (dell’esercito del “Mahdi”) e “altri gruppi armati nazionali e disciplinati” a prepararsi a proteggere l’Iraq.
Qays al-Khazali, il capo della fazione armata di Asaib Ahl al-Haq, ha affermato che “tutti i combattenti dovrebbero essere in allerta per l’imminente battaglia e la grande vittoria. La fine di Israele e la rimozione degli Stati Uniti dalla regione saranno il risultato dell’assassinio di Soleimani e Muhandis”, ha affermato in una nota pubblicata dai media iracheni.
Il quotidiano libanese pro-Hezbollah Al-Akhbar
ha titolato: “Il martirio di Soleimani: è la guerra”.
Le morti di Soleimani e al-Muhandis rappresentano un potenziale punto di svolta in Medio Oriente e si prevede che scateneranno gravi ritorsioni sia da parte dell’Iran che di altre forze militari e/o terroristiche che sostengono gli sciiti nella regione, contro Israele e gli interessi degli Stati Uniti.
Ma chi era Qassem Soleimani?
Era il leader delle guardie rivoluzionarie iraniane.
Soleimani ha acquisito lo status di celebrità in patria e all’estero per il suo ruolo chiave nella lotta in Siria e Iraq. Era sopravvissuto a numerosi tentativi di omicidio contro di lui da parte di agenzie occidentali, israeliane e arabe negli ultimi 20 anni.
“Si è unito ai suoi fratelli martiri, ma ci vendicheremo energicamente sull’America”, ha detto Mohsen Rezaei, ex comandante del Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica iraniana che ora è il segretario di un potente ente statale.
Il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha chiesto tre giorni di lutto nazionale, dicendo che l’uccisione del maggiore generale Soleimani raddoppierà la motivazione della resistenza contro gli Stati Uniti e Israele.
Secondo la televisione di stato iraniana, Khamenei ha affermato che una dura vendetta attende i “criminali” che hanno ucciso Soleimani.
I leader democratici del Congresso americano hanno rilasciato dichiarazioni che condannano gli ordini del presidente Donald Trump, dicendo che il presidente non aveva ottenuto l’approvazione del Congresso.
Intanto il prezzo del petrolio è salito di oltre il 4% nella stessa mattinata di venerdì 3 gennaio, dopo la notizia della morte di Soleimani.
Joe Biden, ex vicepresidente e candidato democratico alla presidenza, ha dichiarato che mentre Soleimani meritava di essere assicurato alla giustizia, Trump “ha appena lanciato un candelotto di dinamite in una polveriera”.
Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha twittato il video che fa vedere gli iracheni che ballano felici per le strade dopo la morte del Generale Soleimani.
Terra Santa – I cristiani nella prigione di Gaza
enza fonte di reddito alcuna.
QASIM SOLEIMANI E IL DESTINO DELL’IRAN

Lui ha già superato in molti casi e situazioni la soglia della morte, ma ha deciso di rimanere sulla terra per servire l’umanità: i poveri, gli oppressi, i malati e le vittime del terrorismo. Il suo desiderio di martirio è estinto quotidianamente a vantaggio di un grande progetto globale basato sulla tolleranza per il sacrificio, per la sofferenza, per il dolore e dunque sull’Amore.
Terra Santa: l’acqua non è uguale per tutti
Segnalazione del Centro Studi Federici
1948 – 2018: la catastrofe del popolo palestinese
Segnalazione del Centro Studi Federici
L’ambasciata della morte
di Niccolò Inturrisi
Fonte: L’intellettuale dissidente
Dopo i mesi passati tra le polemiche e gli scherni, nella giornata del settantesimo anniversario della nascita dello Stato di Israele si è tenuta l’inaugurazione ufficiale della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme. Tuttavia, quella che il presidente americano aveva dichiarato ingenuamente come una giornata dedicata alla speranza di una “pace” si è risolta, come era prevedibile, in un massacro da parte di militari israeliani a discapito della popolazione civile palestinese. Non vogliamo solo soffermarci sui quasi 2000 feriti e oltre 50 morti ammazzati dalle pallottole israeliane – impacchettate, spedite e vendute direttamente da quello stesso paese che si crede baluardo della sopravvivenza della democrazia del mondo – per sottolineare una situazione oscena e deplorevole che nessun paese europeo si degna di condannare con la dovuta attenzione. È proprio questa mancanza di coerenza, non solo mediatica, ma sinceramente politica, che lascia esterrefatti chi (come tutti noi) ha assistito nell’arco degli ultimi vent’anni a un vero e proprio diktat da parte del governo di Israele: il predominio non solo politico ed economico, ma soprattutto sociale e culturale rispetto ad una popolazione che si è vista usurpare la propria terra natia, costretto a vivere in una striscia di terra e, non abbastanza umiliati, denigrati e lasciati a loro stessi da parte delle grandi potenze mondiali. Continua a leggere
Quando il Sionismo si scontra con la realtà
di Stanley L. Cohen*
Fonte: Comedonchisciotte
“I torti che ci sforziamo di condannare e di punire sono stati così premeditati, così malvagi e così devastanti, che una civiltà non può tollerare che essi vengano ignorati, perché non potrebbe sopravvivere alla loro reiterazione”
Con queste autorevoli parole, Robert H. Jackson, Procuratore Capo per gli Stati Uniti, aveva aperto i lavori del Tribunale per i Crimini di Guerra a Norimberga, Germania, subito dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale.
Incaricato di accertare la colpevolezza di esponenti di spicco dell’esercito, della politica e dell’apparato giudiziario per le violazioni alle leggi internazionali... comprendenti crimini di guerra, crimini contro l’umanitàe contro le leggi di guerra…il tribunale aveva validato il principio della responsabilità personale per il genocidio nei confronti degli Ebrei e di altre etnie, che erano state considerate, dallo stato tedesco, una minaccia alla propria, dichiarata, supremazia razziale, religiosa e politica.
Sebbene questi reati si fossero manifestati in forme diverse, la loro efferatezza derivava, in realtà, da un pensiero collettivo condiviso, che considerava tutti quelli destinati ad essere soppressi dallo stato non solo (esseri) inferiori, ma indegni della vita stessa… uomini, donne e bambini, giovani e vecchi, ridotti a poco più di oggetti di grottesca derisione, la cui sola esistenza contaminava il concetto nazionale di supremazia della razza.
Non ci sono più segreti sulla campagna di terrore scatenata dal Terzo Reich, mentre invadeva nazioni e scatenava una violenza internazionale mai vista prima di allora. Neppure sono mai stati soggette ad un serio dibattito le sue modalità di guerra totale, sia verso i militari, che contro i civili. Anche se qualcuno ha scelto di contestare il numero delle vittime o di rielaborare gli esatti strumenti della persecuzione, nessuno storico serio dubita del ruolo avuto dai carri bestiame, dai ghetti e dai forni crematori nello sforzo cosciente di zittire le diversità della vita, mentre la maggior parte del mondo guardava altrove. Continua a leggere
Gaza cristiana
Segnalazione del Centro Studi Federici