In morte di Silvio Berlusconi

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna

Si è trattato di una sostanziale celebrazione. Mi riferisco alla morte di Silvio Berlusconi, dovuta ad una leucemia di cui soffriva da almeno 5 anni.

Con lui se ne va un pezzo di storia d’Italia durato circa trent’anni, nel bene e nel male.

Silvio è stato, per lungo tempo, l’uomo più invidiato d’Italia, per le sue possibilità economiche. La sinistra si è scagliata contro di lui come da tempo non si vedeva. probabilmente Berlusconi è stato il politico più perseguitato d’Italia, dalla Magistratura e dagli avversari. Ha vinto quasi tutti i processi, ha vinto come grande imprenditore, ha dato lavoro a moltissime persone, spaziando dall’editoria alla televisione privata, dai supermercati allo sport. Certa sinistra è riuscita a vomitare il suo odio nei suoi confronti anche dopo la sua dipartita, in maniera davvero squallida. Quel pezzo di sinistra radical chic, certamente lontana da un signore, quale si dimostrò Enrico Berlinguer, ora ha perso il motivo d’esistere: l’antiberlusconismo militante e giustizialista, manettaro e schifosamente ipocrita , malato dell’ignobile “sindrome da Piazzale Loreto” ha dato dimostrazione che chi si considera “buono” è davvero molto perfido e maligno. Su di lui è stata fatta “satira da frustrati” – ha scritto il vignettista Beppe Fantin sul blog di Nicola Porro – continuando, ragionevolmente: “È vero che la satira è “protetta” dalla libertà di espressione, ma con le cattiverie questa libertà viene meno e andrebbe denunciata. Ma dove vogliamo arrivare? Ma davvero pensiamo che il nostro paese abbia un futuro? Un paese in cui si gode per la morte di un leader e si lotta per la liberazione di un delinquente rinchiuso al 41 bis reo di aver commesso delle atrocità; un paese in cui la famiglia tradizionale è condannata perché colpevole di pretendere che la normalità sia padre, madre e figli; un paese dove la normalità sono i genitori gay e l’utero in affitto; un paese dove il delinquente è tutelato e chi è stato aggredito condannato; un paese dove chi uccide viene trattato come una star del cinema, condannato e rilasciato dopo qualche anno” […]

Berlusconi non ha mai delocalizzato le sue aziende, dimostrando di voler credere nell’Italia. La sua ironia, anche in contesti formalissimi internazionali, resterà nella storia. Così come i suoi 3336 giorni complessivi da Presidente del Consiglio, record assoluto dal dopoguerra.

Su Berlusconi politico potremmo discutere a lungo. Io non l’ho mai votato. Moderati e liberali non mi sono mai piaciuti. Era un uomo generoso. Non mancava mai di aiutare chi riteneva in autentica difficoltà.

Marco Travaglio, orfano inconsolabile di un antiberlusconismo viscerale sul quale ha costruito la sua fortuna, è stato capace di esprimere nel salotto televisivo di Lilli Gruber un condensato di velenosità post-mortem, se così vogliamo dire, da far impallidire un serpente a sonagli. In estrema sintesi, per il direttore del Fatto Quotidiano il Cavaliere per antonomasia avrebbe incarnato le peggiori attitudini presenti nella cultura del Paese, attraendo sostanzialmente la componente più corrotta o corruttibile della popolazione. claudio romiti ha aggiunto: “Tutto questo, come ha giustamente colto Alessandro Sallusti durante la citata trasmissione, veicola qualcosa che va ben al di là di una semplice avversione politica per un personaggio che ha fatto guadagnare molti soldini a tanti odiatori di professione come è per l’appunto Travaglio. In realtà, come si è ben capito dal risolino nervoso di quest’ultimo quando Sallusti lo ha definito “vedovo inconsolabile”, la scomparsa dell’uomo di Arcore rappresenta quasi una tragedia per chi aveva trovato un “cattivone” buono per tutte le stagioni su cui raccogliere i frustati e gli invidiosi di questo disgraziato Paese”.

Nel suo diario del 1994 (raccolto poi nel libro “Come si manda in rovina un paese – Rizzoli 1995), Sergio Ricossa annota alcuni appunti sulla novità politica costituita dalla vittoria di Silvio Berlusconi e aggiunge considerazioni di una preveggenza che, in alcuni casi, sono da brividi. Ne riportiamo qualcuna come ricordo di Berlusconi, in questi giorni di cordoglio e di riflessione.

<<Mi guardo bene dal pretendere un governo Berlusconi liberista. Mi basterebbe un governo che durasse e fosse amico dei consumatori. Ma come si fa ad esserlo, se questo governo ha ereditato dai precedenti due milioni di miliardi (ndr di lire) di debito pubblico? […] Due milioni di miliardi, forse di più. Una sentenza della Corte costituzionale scopre, non senza un pizzico di perfidia, un nuovo debito per le pensioni, che era nascosto ed è in scadenza. Per il governo, è più probabile saltare in aria che sminare il terreno>> – ricorda Fabrizio Bonali, sempre sul blog di Porro.

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Marcello Veneziani ha scritto su La Verità di ieri: “Berlusconi amava la vita, rifuggiva la morte, e anche all’anima voleva organizzare una festa con la banda…”. 

Quanto all’invenzione della cosiddetta “televisione spazzatura”, che lui prendeva come una burla per far riposare gli italiani, va detto ai moralisti che ci sono sempre stati milioni di “cassonetti” che hanno aperto il coperchio. Pensate alle innumerevoli edizioni del vituperato Grande Fratello. Pensate ai successi di Verissimo e di Barbara D’Urso. E nel 1985, il Drive In batteva tutti i record di share. Ha costruito una televisione di basso livello, scollacciata e, talvolta volgare, per un popolo che voleva e meritava quello.

La critica all’uomo, oramai l’ha già fatta il Giudice Supremo. Non ci permetteremmo mai di sostituirci a Lui. Silvio Berlusconi non ha dato l’esempio di un comportamento da buon cristiano. Scandali, più o meno montati sono stati sì un grimaldello politico e giudiziario contro di lui, ma anche uno scandalo lussurioso verso il popolo di Dio, che, coi due matrimoni e le convivenze, le “cene galanti” l’hanno reso un pubblico peccatore mai pentito, anche se ci  auguriamo un atto di contrizione personale, prima di morire. Per questi motivi, per la mancanza di trasparenza, le opacità e i sospetti sulla sua gestione politica e degli affari, con personaggi border line anche al capezzale era indiscutibilmente un pubblico peccatore. La Chiesa Cattolica, nel Codice di Diritto Canonico (1917) vieta i funerali ai pubblici peccatori. I divorziati, ovverosia i concubini, sono considerati ipso facto infames (can.2356) e publice indigni (can. 855 §1), cioè pubblici peccatori. Appartenne alla loggia massonica di Licio Gelli, P2 e a chissà quale altra osservanza col grembiulino, condannata dalla Chiesa. Perciò era scomunicato ipso facto e si sarebbe dovute avere spiegazioni in merito alla simbologia dal sapore esoterico, presente nel mausoleo. Ecco i video della tomba di famiglia:

e poi: https://www.fanpage.it/milano/come-fatto-il-mausoleo-di-villa-san-martino-ad-arcore-dove-potrebbe-essere-sepolto-berlusconi-dopo-i-funerali/

La cremazione venne condannata formalmente dalla Chiesa cattolica (can.1203, Codice 1917), e contro coloro che l’avessero disposta per il proprio cadavere fu comminata la privazione dei sacramenti e delle esequie ecclesiastiche (can. 1240, 1, n. 5, Codice 1917). Alcuni media hanno riportato che B., per sua volontà, sarebbe stato cremato.

Infine, informa LaPresse dell’esistenza di «Volta celeste». Questo il nome del mausoleo voluto da Silvio Berlusconi nel parco di villa San Martino, ad Arcore, e realizzato dall’amico scultore Pietro Cascella. Cento tonnellate di pietra e tre anni di lavoro per quella che Silvio Berlusconi fece costruire come tomba di famiglia per sé e per la «gens Berlusconiana». Di questa imponente opera circolano molte leggende e poche immagini, tra queste quelle del progetto spiegate dallo stesso artista nel documentario «Quando c’era Silvio – Storia del periodo berlusconiano». «Lui mi disse: non farmi una cosa mortuaria, con le falci, le morti, i teschi, gli scheletri, quell’armamentario cimiteriale – ricordava Cascella –. E allora io dissi: pensiamo all’alto, al cielo. E allora ho fatto questa cosa che si chiama Volta celeste».

Funerali di Stato celebrati da un “arcivescovo” in Duomo in forma solenne, omelia priva di qualsiasi riferimento a Cristo, ai Santi, alla S. Vergine Maria, avrebbe potuto leggerla tranquillamente Fedele Confalonieri. La Chiesa nata con il Conciliabolo Vaticano II ha dimostrato, per l’ennesima volta, di aver abbandonato nella sostanza e nella forma la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Noi ne siamo profondamente rattristati perché questi comportamenti non hanno nulla a che fare con la vera carità, che non è buonismo o ossequio incondizionato ai grandi personaggi, ma è adeguamento alle regole e prassi anti-cristiche del mondo moderno (e della massoneria?)

Ecco il testamento di Berlusconi:

https://quifinanza.it/editoriali/video/berlusconi-testamento-chi-come-divisa-eredita/722578/

 

 

 

Prendere a pugni i ragazzi di destra non fa notizia: se lo meritano

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Ecco il video del pestaggio dei militanti di FdI avvenuto a Bologna nel maggio 2022. Nessuno ne parla. Perché?
Non siamo mica sciocchi: non ci aspettavamo certo che, dopo la nostra esclusiva sul pestaggio di alcuni studenti di destra a Bologna, i grandi giornali ci venissero dietro. Per carità, ci siamo abituati: se a prendere le botte, vere e documentate, sono i giovani di Fratelli d’Italia nessuno fa un frizzo. Ne parlano i quotidiani locali per qualche giorno, poi tutto finisce nel dimenticatoio. Se invece di fronte a un liceo fiorentino scoppia una rissa, subito la stampa democratica fa scattare le trombette dell’antifascismo militante, sgorgano editoriali sulla difesa della Costituzione e contro lo squadrismo fascista. Lo ripetiamo: ci siamo abituati. Però è pure giusto mettere a nudo l’ipocrisia del sistema mediatico italiano, oltre che di quello intellettuale e giornalistico.

Di casi da raccontare ce ne sarebbero a bizzeffe, senza dimenticare i collettivi che alla Sapienza hanno impedito a Daniele Capezzone di parlare. Ma limitiamoci agli episodi simili: prendiamo i fatti di Bologna, che risalgono al maggio del 2022, e quelli più recenti di Firenze.

La sera del 19 maggio, una decina di giovani di Azione Universitaria è in via Zamboni a Bologna per controllare i risultati delle elezioni universitarie. Escono dal portone tranquilli, chiacchierano, tutto fila liscio come l’olio. Finché non vengono circondati e malmenati da una ventina di persone. A confermarlo c’è l’avviso di conclusione indagini contro 8 ragazzi, in cui si parla di “pugni, calci e spintoni”, di un trauma toracico, di lesioni guaribili in 16 giorni e minacce tipo “vi uccidiamo”, “tornate nelle fogne”, “siete morti”. Un vero e proprio agguato, certificato anche dai video delle telecamere di sorveglianza che circondano l’ingresso della Facoltà di Lettere bolognese. Si vedono distintamente i ragazzi di Azione Universitaria aggrediti alle spalle da un gruppo militanti di sinistra. Le immagini non lasciano spazio all’immaginazione: botte, pugni, spintoni. Violenze, insomma. Gravi tanto quanto quelle emerse dai filmati della rissa di fronte al Michelangiolo. Se non di più.

E arriviamo a Firenze. Ogni violenza è deprecabile e su questo sito lo abbiamo detto e ridetto: gli alunni di Azione Studentesca hanno fatto male a reagire con i pugni. Però va pure ridimensionato il contesto: secondo alcuni testimoni, infatti, a far scattare la miccia sarebbero stati gli studenti dei collettivi infastiditi da un banale volantinaggio degli avversari “di destra” di fronte alla loro scuola. Un professore, intervistato dalla Nazione, l’ha detto chiaro e tondo: “C’era questo volantinaggio dei ragazzi della destra. Sono usciti quelli dei collettivi e hanno cominciato ad insultarli e strappare i volantini. Hanno tirato delle spinte e a quel punto quelli di Azione Studentesca hanno cominciato a picchiare”. Una rissa, insomma, e non quel “pestaggio squadrista” cui i media si sono aggrappati per giorni basandosi su un’unica versione dei fatti.

Per approfondire

Morale della favola. Domani a Firenze è prevista una grande manifestazione antifascista “in difesa della scuola e della Costituzione”. Il corteo protesterà “contro ogni forma di violenza” e per eprimere “solidarietà alla preside Savino”, quella della delirante lettera sul fascismo. Saranno presenti anche Elly Schlein e Giuseppe Contenella più classica delle farse. Ci permettiamo di dare un suggerimento: in piazza proiettate pure il video del pestaggio dei collettivi ai danni dei militanti FdI. Così magari anche Repubblica e gli altri giornali se ne accorgono e ne parlano un po’. Oppure ci volete dire che se sei di destra le botte te le meriti?

Giuseppe De Lorenzo, 3 marzo 2023

Prendere a pugni i ragazzi di destra non fa notizia: se lo meritano

Un “gaio nichilismo” con a capo Elly Schlein

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di Riccardo Arbusti – 01/03/2023

Un “gaio nichilismo” con a capo Elly Schlein

Fonte: Il Secolo d’Italia

Il filosofo Del Noce lo aveva già previsto: la sinistra diventerà un “gaio nichilismo”. Con a capo Elly Schlein

Quale potrebbe essere, da un punto di vista filosofico, il nuovo profilo del Pd targato Elly Schlein? Non forzando troppo la mano potrebbe essere esattamente quello profetizzato dal filosofo Augusto Del Noce quando, a metà degli anni Ottanta del Novecento, descriveva l’emergere di un possibile “partito radicale di massa” quale esito “suicida” della cultura politica della sinistra che era stata precedentemente socialista e marxista.

Del Noce profetizzò la saldatura tra tecnocrazia e postmarxismo
Negli anni Ottanta, infatti, la saldatura in corso tra tecnocrazia e quel che restava del comunismo, tra ricca borghesia e popolo de-cristianizzato, veniva da Del Noce identificato in una sorta di superpartito trasversale, laicista e individualista che stava egemonizzando tutto il quadro. A questo superpartito, il filosofo torinese opponeva una nuova alleanza tra cattolici, socialisti non subalterni al laicismo e al marxismo e settori politici e sociali sensibili al richiamo della cultura nazionale italiana . Non a caso, si professerà in sintonia con l’analisi di Del Noce anche il filosofo postmarxista come Costanzo Preve quando scriverà dello scivolamento della cultura di sinistra verso «l’adesione inesorabile alla società radicale dei consumi».

Giuliano Ferrara stronca la Schlein: “Banale e modaiola, rischia l’irrilevanza. La Meloni è un’altra cosa”
La cultura azionista alla Scalfari utile a scardinare la questione sociale
L’incontro inevitabile tra ciò che restava del marxismo e l’ordine tecnocratico neocapitalistico è l’essenza della tesi del libro più politico di Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, del 1978. Il filosofo aveva infatti chiaro l’avversario politico-culturale di quella nuova forma di Risorgimento nazionale che Del Noce auspicava, come aveva ben presente l’avanzante minaccia “morbida” di una nuova forma di totalitarismo, quella che a suo dire veniva delineata secondo una strategia condotta dalla parte politica «che si riconosceva nel quotidiano la Repubblica e nelle idee del suo direttore, Eugenio Scalfari. Quel quotidiano, secondo il filosofo torinese, mettendo insieme la componente progressista della Dc rappresentata da De Mita insieme al risultato della laicizzazione del Pci, puntava dritto dritto al “partito radicale di massa” e, quindi, a egemonizzare il nuovo soggetto sulla base di una rinnovata cultura azionista, espressione diretta di una borghesia laicista, permissiva e, col pretesto della “questione morale” a annullare la centralità della questione sociale».

Il rifiuto da sinistra dei valori permanenti e lo slittamento verso il laicismo
Ricordiamoci come è proprio dalla celebre intervista di Berlinguer a Scalfari, del 1981, che il Pci in qualche modo compie una scelta sul fronte del progressismo azionista mettendo progressivamente in sordina la tradizione sociale e la rappresentanza dei ceti popolari. Del Noce definisce quella scelta un’opzione per la rappresentanza privilegiata – da parte della sinistra – della nuova borghesia, che – citiamo le sue parole – «è poi il soggetto storico degli ultimi decenni nelle sue abitudini, nei suoi costumi, nella sua mentalità. Ideologicamente questa nuova borghesia è caratterizzata dal timore di un qualsiasi risveglio religioso, sia cattolico, sia persino comunista, addirittura nella vecchia forma del marxismo come religione secolare. Si vuole dunque una società completamente secolarizzata, che rifiuti ogni sorta di valori assoluti, permanenti, immutabili». Si andava così prefigurando, a suo avviso, «un totalitarismo di nuova natura, assai più aggiornato, assai più capace di dominio assoluto di quel che i modelli passati non fossero». Un progetto, portato avanti, da quello che lui definiva «il superpartito tecnocratico che attraversa i partiti, che ha in possesso le sorgenti di informazione, che cura la propria apologia attraverso la casta degli intellettuali, che è equamente ripartito secondo le varie posizioni culturali e politiche dai cattolici ai comunisti…». Insomma quella che oggi chiamiamo la sinistra della Ztl o dei salotti o dei “comunisti col rolex”.

L’orizzonte umano coincide col piacere del singolo
È proprio questa l’essenza della “società radicale”, che non può che assumere una forma tecnocratica, inevitabile, per dirla con Del Noce, «in una realtà in cui i valori etico-politici sono sostituiti da criteri strumentali: è la società della massima oppressività possibile, quella il cui fondamento è il principio pragmatico esteso a tutti i rapporti sociali, in cui tutto sembra passare in via privilegiata per il diritto assoluto degli individui al soddisfacimento dei propri desideri». Se la natura diviene, in altre parole, solo un oggetto per l’uomo, e se la società viene pensata solo nei termini dei vantaggi che essa può assicurare al piacere del singolo, allora il problema di un valore “trascendente” della natura e della società – la religione, la morale, la prospettiva nazionale – appare come privo di senso. La sinistra postmarxista raggiunge così la perfetta negazione della trascendenza, il rifiuto dell’esperienza immediata e della consapevolezza della realtà, sia per ciò che riguarda la natura, sia per ciò che riguarda la società: il mondo e l’uomo emergono soltanto come ciò che appaiono e la misura concreta che li avvince al soggetto umano è soltanto il soddisfacimento dei suoi bisogni e desideri. Non c’è, anche in questo, una prefigurazione dell’orizzonte liquido, sradicato, indifferenziato, politicamente corretto e “sostenibile” degli scenari a noi contemporanei?

La nuova religione tecnologica profetizzata da Del Noce
Annotava appropriatamente Del Noce: «Si sta organizzando dunque una società globale, che trae la sua forza dalla conciliazione del massimo dell’oppressività con l’aumento del benessere». Di fronte a questa presa d’atto, il filosofo torinese arriva esplicitamente a domandarsi: «Significa che il pieno fiore della civiltà tecnologica coinciderà con il rispetto di tutti gli individui, visti nella loro individualità? Mi pare sia proprio qui l’illusione che si tratta di dissipare. Facciamo l’ipotesi di un governo mondiale diretto da un’élite di grandi scienziati e di grandi tecnici. Per essere però del tutto coerenti, dobbiamo supporre uomini ridotti alla pura dimensione scientifica, e nient’altro. Ovviamente essi non potranno ragionare che in termini di potenza, di efficacia, di organizzazione… Si avrà un’umanità divisa nettamente in due classi, quella di coloro che in qualche maniera partecipano a questa conquista, quella di coloro che a essa sono superflui. Se anche si vorrà pensare che a costoro verrà garantito un minimo vitale, essi però non potranno che servire, sapendo che ogni tentativo di sottrarsi alla loro condizione è del tutto inutile e assurdo, per la potenza senza pari che sarà concentrata in poche mani, quelle dei custodi della religione tecnologica».

Il “nichilismo gaio” della sinistra di Elly Schlein
La “società radicale” era stata profetizzata nel migliore dei modi da Del Noce già in una lettera del gennaio 1984 a Rodolfo Quadrelli e descritta nei termini di un totalitarismo morbido dai tratti nichilisti, un “nichilismo gaio”, un totalitarismo senza inquietudine. Per Del Noce il “nichilismo gaio” appariva tale – forse quarant’anni fa se ne resero conto in pochi – anche nel riferimento a una sessualità neutralizzata e “gender”, così come si sostiene recentemente. «Si può infatti dire – annotava – che tende a intendere l’amore sempre omosessualmente, anche quando mantiene il rapporto uomo-donna, immaginando una relazione sessuale indifferenziata», escludente il principio di “differenza” tra i generi. «Tale nichilismo – precisava – è esattamente la riduzione di ogni valore a valore di scambio: l’esito borghese massimo, nel peggiore dei sensi, del processo che comincia con la prima guerra mondiale. Il peggiore annebbiamento che il nichilismo genera è la perdita del senso dell’interdipendenza dei fattori della nostra storia presente; infatti a ben guardare, non è che l’altra faccia dello scientismo e della sua necessaria autodissoluzione da ogni traccia di valori che non siano strumentali».

Del Noce faceva propria l’analisi di Pasolini
Insomma, Del Noce – e lo rilevò più volte – si riteneva in pieno accordo con il Pier Paolo Pasolini che non solo negli Scritti corsari ma anche nel suo ultimo discorso pubblico alla Festa nazionale dell’Unità del settembre 1975 contestava alla sinistra quel “progressismo” – incipiente in quegli anni Settanta ma oggi dominante ed egemone – che a suo dire era il tratto trasversale e coinvolgente di tutta la realtà nel mondo dell’omologazione compiuta. Anche il Pci, a suo dire, era di fatto già “inquinato” – così lui spiegava – da «quel falso laicismo, e da quel falso progressismo, con cui il potere ammanta la sua ideologia consumista. Cioè, la televisione o anche la scuola. I modelli di vita che offre la televisione sono, per quanto laidamente, laici. Chi viene offerto alla vostra indicazione? Non certamente un santo eremita, o un prete che fa delle belle prediche. Viene esposto alla vostra indicazione un giovane cretino e una giovane cretina. Laici, che godono la vita. La cui religione è il pic-nic, il weekend, la macchina, il profumo, il sapone, le belle scarpe, i blue jeans, eccetera. …. Anche i voti andati a sinistra – denunciava Pasolini, in pieno accordo con Del Noce – sono “inquinati” da un laicismo e un progressismo, che noi non possiamo condannare, dal nuovo modo di produzione, cioè dalla nuova cultura e dal nuovo Potere». E oggi, quasi cinquant’anni dopo quel laicismo e quel progressismo sono diventati la piattaforma ideale ufficiale della nuova sinistra del Pd. Alla cui guida non si poteva che scegliere una leader come Elly Schlein.

Dante di destra? È la pena del contrappasso

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di Marcello Veneziani

Ora che avete finito di sganasciarvi dalle risate di scherno e di superiorità per la boutade del ministro dei beni culturali, Gennaro Sangiuliano su Dante Alighieri fondatore del pensiero di destra, proviamo a dire qualcosa di serio.

Si può condividere in pieno, in parte o per niente la sua provocazione, come lui stesso l’ha definita, ma alla fine si è trattato di una ritorsione, ovvero Sangiuliano ha applicato in senso contrario una pratica assai diffusa, soprattutto a sinistra. Anzi, per usare una categoria dantesca, ha usato la pena del “contrappasso”.

Dunque, come si esprime il monopolio ideologico della sinistra sulla cultura quando affronta temi, opere e autori del passato? Lo schema prevalente è il riduzionismo, ovvero tutto viene riportato al presente. Parlano di Gesù Cristo come del primo rivoluzionario della storia, difensore degli ultimi. Parlano di Enea come del primo migrante e profugo di guerra, sbarcato clandestinamente. Parlano delle lotte tra patrizi e plebei come un esempio di lotta di classe. Parlano del tumulto dei ciompi come il debutto della Cgil nel medioevo… Parlano di san Francesco come un profeta dell’uguaglianza, un difensore dei poveri e un nemico delle gerarchie, e gli affiancano per rispettare le quote e la parità dei sessi, Santa Chiara, come se fosse una femminista ante litteram. Non c’è opera lirica o dramma teatrale che oggi non venga rappresentato con l’allusione all’oggi, travestito nel presente, su tematiche del politically correct di oggi: i migranti, i transgender, l’antifascismo. Ci sono nazisti pure nella tragedia greca. E nella lotta politica, nel 1948, i socialcomunisti trascinarono perfino Garibaldi come simbolo del Fronte popolare, loro che erano stalinisti e lui che difendeva al patria e la libertà.

Tutto viene ridotto al presente, o nei più colti diventa una metafora allusiva del presente. Dal ’68 in poi, a scuola e ovunque, per misurare il valore e la grandezza di un autore si pesa la sua attualità: ricordo menate indecorose proprio su Dante per tirarlo nell’attualità o per dannarlo col metro dell’inattualità. Dire che Dante sia il fondatore del pensiero di destra è l’applicazione coerente, e forse inconsapevole, di quello schema ideologico retroattivo.

Mi pare perfino ovvio obiettare che destra e sinistra sono categorie moderne, mentre Dante è in tutto medievale e i classici vanno preservati i dagli usi e gli abusi di chi li costringe nel letto di Procuste del presente. Ma se serve a denunciare l’immiserimento dei grandi nelle gabbiette del nostro tempo, allora il paragone è utile, anzi didattico. E poi, se è sbagliato abbassare il Sommo Poeta al nostro oggi, è invece lodevole tentare di innalzare la bassezza dell’oggi a una dignità superiore. Dopo tante ricerche affannose e ridicole dei pantheon d’autori, per rivendicare, dantescamente, “chi fuor li maggior tui” ovvero chi sono i padri nobiii a cui riferirsi, partire da Dante significa perlomeno guardare in alto. E liberare il pensiero di destra dal tentativo altrui di ricacciare le sue radici nel fascismo. Chi ama la tradizione viene da più lontano.

Mi sono occupato a lungo del pensiero di destra e a Dante ho dedicato vari scritti e un libro. Mai ho sostenuto che Dante fosse il padre della destra, l’ho definito “nostro padre” riferendomi a noi italiani. Per dirla in breve, in un suo intervento sul Corriere della sera, Sangiuliano citava dal mio libro questo passo: “La fonte principale, più alta e vera della nostra identità è Dante Alighieri. A lui dobbiamo la lingua, il racconto, la matrice, la visione. L’Italia intesa più che nazione, come civiltà”. La nostra identità, intendevo, di noi italiani.

Dante è trascinato nell’attualità da almeno due secoli. Anzi, la riscoperta di Dante la dobbiamo proprio all’uso di Dante nella vicenda risorgimentale. Dopo l’uso che ne fece il Risorgimento, Dante fu usato per dare un fondamento all’Italia unita, col pullulare di monumenti e toponimi danteschi e la nascita della società Dante Alighieri. Il fascismo fece largo uso della “vision de l’Alighieri”, come cantava Giovinezza nella versione fascista. Lo faceva avvalendosi di letture carducciane e dannunziane, dei saggi di Giovanni Gentile e di altri eminenti studiosi, che non trascinavano Dante nell’attualità ma elevavano il momento storico e l’idea fascista al rango dell’ispirazione dantesca. E Dante si prestava ai fascisti, ai carducciani, ai risorgimentali? Lui no, naturalmente, ma ciò che aveva detto e fatto poteva prestarsi a quella lettura, nel nome dell’amor patrio e della civiltà, della nostalgia del sacro romano impero, della passione per la romanità e per la fierezza, per l’avversione ai mercanti e all’usura, alla “gente nova e i subiti guadagni che orgoglio e dismisura han generato”. Per questo, citavo nel mio libro, Sanguineti lo reputò un reazionario e Umberto Eco lo definì “un intellettuale di destra”, sottolineando che predicava il ritorno all’Impero mentre fiorivano i liberi comuni. E Giorgio Almirante, appassionato di Dante, lo citava sempre in parlamento e nei comizi, a memoria, e a lui si richiamava più che a ogni altro autore o pensatore.

Dunque? Dante è universale e universale resta. Dante è eterno e non è di questo o di quel tempo. Dante è grandissimo poeta, ma anche pensatore e scrittore civile, e pur vivendo e scontando le sue passioni politiche, fino alla faziosità più sanguigna, non si può ridurre a questa o a quella fazione attuale. Però ora capite meglio che succede quando si piega la storia e la letteratura al nostro oggi. Perciò non atteggiatevi a superiori, voi danteggiatori di sinistra, perché ogni giorno tacete sulla forzata attualizzazione di storie e autori.

Quanto a Dante, non s’è crucciato, vede le cose da lontano e dall’alto per indignarsi. Ne ha passate troppe nei secoli per arrabbiarsi di un’innocua richiesta di affiliazione. I grandi autori sono come fontane aperte ai viandanti, notava Nietzsche ne la Gaia Scienza, ciascuno si abbevera come vuole, “i ragazzi la sporcano coi propri pastrocchi” e altri passanti la intorbidano, gettandovi la loro attualità; ma noi siamo profondi e “diventiamo di nuovo limpidi”.

La Verità – 18 gennaio 2023

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/dante-di-destra-e-la-pena-del-contrappasso/

Il Riflusso Rosa o di come l’America Latina ha perso la sua sinistra

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La polizia del Boss mi ha afferrato in stile gringo – Corrido, “Cananea”, 1917

Il Cile caldo

La caduta del Muro di Berlino ha lasciato numerosi orfani, tra cui, in primo luogo, i quadri dei partiti comunisti in tutto l’Occidente. Le scosse di assestamento arrivarono ovunque, in particolare alla periferia dell’Occidente: l’America Latina. Tradizionalmente riformisti, parlamentari e piccolo-borghesi, molti burocrati comunisti del continente – una volta scartati dall’improvviso ritiro sovietico – si riciclarono in ONG finanziate da Washington, sostenendo i diritti umani, la democrazia e il femminismo. Era il momento in cui Mosca, sprofondata nella sua crisi di legittimità, aveva abbandonato l’arena internazionale apparentemente per sempre. Ma il vuoto professionale doveva essere colmato in un modo o nell’altro: così un giorno, per necessità, il marxismo scolastico ha lasciato il posto al postmodernismo scialbo nei salotti ufficiali e nel mondo accademico. Il periodo in questione coincide grosso modo con la fine delle dittature neoliberali in Sudamerica, in particolare in Cile, il cui ritorno alla democrazia è stato segnato da ondate di protesta sociale simili a maratone nella seconda metà degli anni Ottanta.

Ora si va avanti di trent’anni

Generazioni dopo la scomparsa di Pinochet, il Cile ha riproposto un ciclo simile di insurrezione popolare proprio alla vigilia dell’esplosione del COVID-19: città invase da quasi due milioni di manifestanti, alcuni dei quali muniti di molotov e fervore luddista. Fino a quel momento, le sedie musicali elettorali erano state divise tra socialdemocratici dalla parlantina pulita e neoliberali draconiani, anche se l’economia trickle-down rimaneva sempre la stessa. Era un gioco di conchiglie giocato in successione da volpi e leoni di Pareto, “sinistra” e “destra” sul modello americano. Tutto questo mentre l’economia cilena, che mescola il PIL della Finlandia e il GINI del Lesotho, trascinava un arretrato di disperazione tra il precariato. Alla fine, la Rivoluzione colorata cilena del 2019 portò a un duplice processo. Da un lato, ha facilitato la futura vittoria presidenziale di un’alleanza di sinistra a metà, formata sia da progressisti di professione che da comunisti di pura razza.

Dall’altro lato, la mobilitazione di strada ha dato vita a un’Assemblea costituzionale, originariamente prevista dall’establishment come valvola di sicurezza per mitigare la volatilità dei cittadini. Tuttavia, come si è visto, l’Assemblea ha acquisito una logica propria e ha fatto avanzare la bozza di una nuova Costituzione che assomiglia a un mosaico multiculturalista – anche se, bisogna ammetterlo, i diritti dei lavoratori hanno ottenuto un residuo riconoscimento nelle sue ultime deliberazioni. Attualmente, l’Assemblea Costituzionale e la nuova amministrazione rappresentata da Boric, anch’egli ex leader studentesco, sembrano poco sincronizzate, in parte perché quest’ultima, scrollandosi di dosso le promesse della campagna elettorale, ha abbracciato l’austerità di bilancio e le misure deflazionistiche. In effetti, a un mese dall’investitura del Presidente Boric, la consueta luna di miele tra elettorato e nuovo gabinetto lascia presagire un divorzio burrascoso.

La causa è semplice. Il Cile detiene virtualmente il monopolio dell’estrazione del rame a livello mondiale, anche se lo Stato non riesce – a causa di accordi geopolitici che risalgono alla Dittatura – a catturare la rendita generata dal proprio sottosuolo. Per questo motivo, l’imposizione fiscale si riversa sulle masse lavoratrici, i cui risparmi per la pensione finiscono anch’essi sequestrati da portafogli Ponzi imposti dalla legge che finiscono nel labirinto dei broker finanziari americani – i famigerati Amministratori di Fondi Pensione (PFA).

Durante le recenti quarantene, i sussidi pubblici per i disoccupati sono stati così esigui che la gente ha chiesto di incassare i registri delle pensioni, da cui è scaturito un braccio di ferro tra i PFA e la loro clientela anziana e prigioniera. Presumibilmente, gli investimenti sono così illiquidi e opachi da rasentare la letterale inesistenza. Tuttavia, l’attuale amministrazione progressista-comunista, “rosa-rossa”, si è schierata fortemente con la lobby finanziaria locale, legata a doppio filo con Wall Street. Così, l’elettorato di sinistra di Boric oscilla tra lo stupore e la rabbia, rispondendo al tradimento percepito con la minaccia di una defenestrazione politica. Il buon senso suggerisce che, ancora una volta, la ribellione popolare cova sotto di sé. Ma questa volta sarà peggiore, poiché il governo non ha nessuno a sinistra, nessun antagonista formale con cui confrontarsi, appellarsi o negoziare, se non una folla amorfa, marea, per lo più giovanile, che affolla le barricate e i picchetti onnipresenti. Naturalmente, un nemico istituzionale può diventare un alleato fedele, e quindi una fonte di legittimazione. Purtroppo, questa non è più un’opzione. Invece, l’agenda multiculturale del signor Boric pretende di placare la penuria materiale e il rancore sociale invocando e propagandando il mantra dei diritti sessuali, dell’ambientalismo da boutique e della riabilitazione delle minoranze. Ma forse l’impresa è piuttosto stucchevole e la sua attualità abbastanza passata. Perché? Perché l’Assemblea Costituzionale, che corre in parallelo con obliqua complicità, si è già appropriata di tutti questi temi. Tutto sommato, il Cile è una barzelletta politica per ora senza finale.

Antinomie andine

L’anno scorso, dopo essere arrivato in testa al ballottaggio presidenziale, il maestro di scuola rurale con il cappello da cowboy Pedro Castillo, alias El Profesor, ha dovuto improvvisare un patto con la rappresentante della sinistra accademica, l’antropologa Verónika Toledo, per affrontare l’imminente ballottaggio elettorale. Alla fine Castillo ha vinto, ma non prima di aver subito un calvario giudiziario volto a inficiare il numero dei suoi voti, suffragi concentrati soprattutto nel retroterra indigeno.

Benché sostenuto dal partito leninista Perú Libre, Castillo è rimasto un classico populista della varietà latina, orientato verso i contadini e con un radicato ethos cattolico. Inutile dire che questo profilo metteva in imbarazzo i suoi alleati progressisti a Lima. La sinistra urbana istruita disapprovava la maggior parte del programma di Castillo e guardava con sospetto anche al suo stesso personaggio politico, rustico e moralista. Peggio ancora, l’iperbolica fraseologia da “ritorno alla terra” di El Profesor non si sposava, tra l’altro, con lo slancio pro-aborto della cricca accademica di Toledo. Il socialismo-familismo strideva con le orecchie del conformismo di sinistra. Ma dovrebbero saperlo bene.

Le famiglie contadine sono state duramente decimate dall’eugenetica neoliberale durante il regime autoritario di Fujimori (1990-2000), che ha perpetrato sterilizzazioni disinformate e non consensuali su decine di migliaia di donne indigene. La crociata di depopolamento, sponsorizzata e finanziata sia dalla NED che da enti di beneficenza ufficiali giapponesi (lo stesso Fujimori è nato in Giappone), ha traumatizzato profondamente le giovani donne, il cui ambiente nativo apprezza molto la gravidanza e il parto.

Paradossalmente, questa politica punitiva di pianificazione familiare è stata attuata in un Paese a bassissima densità demografica, il che solleva sospetti sul reale scopo di una simile iniziativa.

Tuttavia, la riduzione dei tassi di natalità è attualmente perseguita dalla lista della lavanderia abortista, a partire dall’epurazione postmoderna del cosiddetto patriarcato e della mascolinità operaia: prima il bastone, poi la carota… In realtà, fino a poco tempo fa, il blocco di governo peruviano ha avuto una traiettoria accidentata ed erratica, e sembra improbabile che la chimerica coabitazione tra populisti di campagna e mezza tacca universitaria possa funzionare comunque. Per cominciare, il ministro delle Finanze appartiene all’entourage liberale di Verónica Toledo, da cui deriva la continuità del capitalismo delle materie prime.

Tango e contanti

Dopo una tortuosa incubazione, il dissenso proletario in America Latina ha raggiunto l’apice intorno al primo decennio del XX secolo, una congiuntura che ha inaugurato la moderna politica di classe a sud del Rio Grande. Il famoso Sciopero di Cananea in Messico e lo Sciopero Generale in Argentina, entrambi avvenuti all’inizio degli anni Novanta, segnano l’ascesa politica della fabbrica sottoproletaria, protagonista di ardue lotte sociali culminate rispettivamente negli esperimenti redistributivi di Cárdenas e Perón. Per quanto riguarda quest’ultimo processo, l’Argentina stessa, nonostante l’ingente immigrazione transatlantica riversatasi sulle sue coste, non ha mai sviluppato partiti di massa marxisti di stampo europeo, come invece è avvenuto nel vicino Cile. Al contrario, il fascismo paternalistico e plebeo dell’Argentina sotto il generale Perón (1945-1955) servì da surrogato e da catalizzatore per la contestazione della classe operaia negli anni a venire. Fino ad oggi, l’epoca di Perón ha rappresentato in modo vivido l’età dell’oro dell’industrializzazione sostitutiva delle importazioni e del sindacalismo verticale.

Una volta sconfitto da una giunta militare di destra, il peronismo confluì presto nel guevarismo, formando una sottocultura di carisma macho rivoluzionario, che in seguito si evolse verso la guerriglia urbana. Questo contesto emergente indusse i partiti marxisti convenzionali all’introversione riformista. Il tropismo era così intenso che il Partito Comunista locale si alleò con i conservatori terrieri e sostenne persino brevemente la dittatura del generale Videla durante gli anni Settanta. Nel frattempo, il peronismo rivoluzionario degenerò in una serie di gruppuscoli putschisti, i cui militanti furono a loro volta massacrati dagli scagnozzi della Giunta. Durante questo periodo di effervescenza, la sinistra rivoluzionaria coltivò una prassi nativista e sacrificale. Pertanto, solo con il ritorno dei governi civili i movimenti anticapitalisti hanno acquisito un senso di vittimismo e passività. Certo, questo è stato possibile solo grazie all’installazione dell’ideologia-discorso sui diritti umani, il cui epicentro è stato l’amministrazione Carter. Da qui la tragica ironia: i repressori militari argentini hanno ricevuto istruzioni da Fort Benning e dal Pentagono, mentre le loro vittime sono state assistite e sermoneggiate dai missionari laici delle ONG americane.

Contemporaneamente, la crisi di default messicana del 1982 – originariamente causata dal colpo di mano di Volcker sui tassi di interesse – ha innescato il cortocircuito finale del paradigma keynesiano-fordista in America Latina. Decisamente, questa inflessione ha aperto la cupa bonanza dei programmi di aggiustamento strutturale (SAP) del FMI, che hanno intaccato il vigore economico della maggior parte dei Paesi dell’emisfero. A questo proposito, il debito estero dell’Argentina costituisce una lezione trasparente. La Repubblica del Sud ha mostrato una relativa solvibilità fino al 1976, anno in cui la Dittatura ha sestuplicato il livello di debito precedente. Da allora, i numeri rossi sono saliti alle stelle, sottoponendo i contribuenti argentini a un cronico peonaggio del debito di fronte ai creditori internazionali. Col senno di poi, ci si potrebbe chiedere se l’ideologia dei diritti umani – e in seguito il multiculturalismo e i suoi tropi concomitanti – sia stata solo una consolazione machiavellica, un trucco per addomesticare, neutralizzare e depoliticizzare la società civile, in particolare le organizzazioni dei lavoratori.

Se vogliamo chiarire le cose, è necessaria una vignetta giornalistica. A metà del 2002, l’obbligazionista avvoltoio Paul Singer ha fatto causa a Buenos Aires per inadempienza del debito sovrano, riuscendo così a sequestrare legalmente la nave scuola argentina attraccata al largo del Ghana, con un equipaggio di 22 giovani marinai. Si è trattato di un riscatto virtuale imposto da lontano, in seguito all’ordine di disarmo di un tribunale del New Jersey, il cui effetto extraterritoriale appare oggi discutibile. Ma il ricatto ha avuto successo e l’investitore attivista Singer ha finalmente spremuto 2,4 miliardi di dollari dal Tesoro argentino, quattro volte il suo investimento iniziale. Nel frattempo, i dibattiti parlamentari a Buenos Aires sono stati dominati dalle guerre culturali, dai presunti diritti degli omosessuali o da altre controversie del momento, per cui solo voci marginali hanno discusso il nodo dell’odioso debito.

Curiosamente, lo stesso Singer è un gigantesco finanziatore dei diritti degli omosessuali su scala globale, un’impresa caritatevole che potrebbe non essere così disinteressata come si dice.

Riflettendoci, si nota gradualmente uno schema. Come già osservato, la retorica dei diritti umani e del multiculturalismo rafforza l’inerzia della disciplina del debito e dell’estrattivismo economico, una volta che gli attori politici dell’America Latina sono diventati vittime istituzionalizzate che chiedono ospitalità. Non si può cambiare questo corso delle cose se non si sfida l’egemonia liberale nella cultura e non la si riduce alla banalità che comporta. La nuova sinistra postmoderna in America Latina, innestata artificialmente su una ricca tradizione populista, di cui la prima parassita astutamente la memoria, può solo portare disillusione e anomia. Gli esempi in tal senso abbondano.

Cavalli di Troia

Ad oggi, appare chiaro che il capitalismo atlantico ha scelto la sinistra progressista come percorso agevole per controllare il suo tradizionale cortile geostrategico di materie prime. In effetti, la sinistra socio-liberale, priva di qualsiasi allusione proletaria, si presenta come un perfetto cavallo di Troia per portare avanti l’agenda globalista nella sua nuova incarnazione estrattivista. I recenti sviluppi confermano questi sospetti. Petro, ex guerrigliero convertito in sicofante clintoniano, ha riaffermato il ruolo della Colombia all’interno della NATO e ha esteso la virtuale occupazione militare americana del Paese caraibico, con decine di basi finanziate dal Pentagono. Nel frattempo, Boric in Cile ha accelerato l’approvazione del Partenariato Trans-Pacifico (TPP11), un’iniziativa precedentemente scaricata da Trump ma ora guidata dalla diplomazia di Biden. È interessante notare che una sinistra più tradizionale, nata da veri e propri processi rivoluzionari in Messico (1910), Cuba (1959) e Nicaragua (1979), mantiene ancora uno slancio antiglobalista. Il Brasile di Lula è un esempio per il futuro del populismo di sinistra nel continente. Il Partito dei Lavoratori (PT) brasiliano deriva dal sindacalismo cristiano e dalle cooperative contadine. Per questo motivo, la sua ideologia tendeva a esprimersi in termini nazionalistici, comunitari e sviluppisti. Tuttavia, finora il primo governo di Lula è stato ancora un esperimento neoliberale con una patina di ridistribuzione inflazionistica. Non c’è da stupirsi che i ministri delle finanze e i controllori delle banche centrali di Lula provengano sempre dalla porta girevole del FMI-GoldmanSachs.

Tuttavia, grazie al suo peso demografico, il Brasile vanta un mercato interno che consente una borghesia nazionale minimalista, che aspira a consolidare il proprio posto all’interno del blocco BRIC. Da qui la posizione neutralista di Bolsonaro nei confronti della Russia, da cui il Brasile ottiene la maggior parte dei fertilizzanti per la soia che alimenta la Cina. Attualmente, Lula può abbracciare o meno il progetto BRIC. Il bivio è tra l’economia reale e quella finanziaria: il motore della crescita del Brasile dipende dalla domanda cinese di colture, mentre i meccanismi anglo-atlantici del debito in dollari incatenano ancora il Brasile alla subordinazione emisferica.

Inutile dire che la politica internazionale è più di un semplice riflesso degli affari interni, quindi la prevista extraterritorializzazione e denazionalizzazione del bacino di Amazonas, con il pretesto della gestione ambientale globale, sarà un momento decisivo per il nuovo governo di Lula. Un altro punto in discussione è il futuro ruolo di Petrobras, l’impresa pubblica petrolifera continuamente penalizzata da vicende di clientelismo e corruzione. L’autosufficienza energetica è cruciale per lo sviluppo nazionale, dato che il Brasile è un esportatore netto di petrolio greggio, anche se i prezzi locali per i consumatori nazionali sono molto alti. In questo momento, si spera solo che Lula possa avvicinarsi a una sorta di nazionalismo delle risorse economiche, rafforzando la diplomazia neutralista dei BRIC.

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/il-riflusso-rosa-o-di-come-lamerica-latina-ha-perso-la-sua-sinistra

Traduzione di Costantino Ceoldo

L’ombra della Cia dietro i social network

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Il presidente uscente del Brasile ha detto che intende “riposare per un mese o due” a Mar-a-Lago nella residenza in Florida di Donald Trump.

Argentina: Fernández denunciato per “sedizione ”e “tradimento”.

Il motivo è che il presidente si è rifiutato di attenersi alla sentenza della Corte Suprema di Giustizia che lo costringerebbe a restituire fondi sottratti a Buenos Aires. “Disobbedire alla sentenza della Corte Suprema significa disobbedire all’ordine costituzionale, devono andare in prigione. Così ieri i deputati Fernando Iglesias e Sabrina Ajmechet hanno presentato una denuncia per il reato di “sedizione e tradimento”, ha reso noto ieri su Twitter la leader di Proposta repubblicana (PRO) — la principale coalizione di opposizione —, Patricia Bullrich.

La CIA si è intromessa nella moderazione dei contenuti di Twitter per anni

Lo ha rivelato l’altro ieri l’ultima puntata dei “Twitter files”. I documenti interni dei social media rilasciati sabato dal giornalista indipendente Matt Taibbi, documentando come la piattaforma si sia spesso piegata alle pressioni della CIA. Stacia Cardille, un alto dirigente legale di Twitter, ha scritto al suo collega ed ex consigliere capo dell’FBI-James Baker: “Ho invitato l’Fbi e anche la Cia”. Baker, una delle dozzine di ex agenti dell’FBI e dirigenti nelle file di Twitter all’epoca, è stato licenziato questo mese per aver interferito nello sforzo di Musk di rivelare gli illeciti passati della società.

Da allora in poi, riunioni regolari della multi-agenzia Foreign Influence Task Force – a cui hanno partecipato Twitter e “praticamente tutte le principali aziende tecnologiche [tra cui] Facebook, Microsoft, Verizon, Reddit, persino Pinterest –  “avevano “personale dell’FBI e uno o due partecipanti della CIA”. Attraverso il FITF, l’intelligence statunitense incaricava gli analisti di Twitter di laboriose indagini su account nazionali presunti di avere nefaste connessioni straniere, rivelano i documenti-aumentando man mano che le elezioni presidenziali del 2020 si avvicinavano, ma continuando fino al 2022.

I monitor dei contenuti di Twitter hanno analizzato i dati IP degli utenti, i numeri di telefono e persino valutato se i nomi utente fossero “Russiansounding” per confermare le accuse del governo, ma spesso non sono riusciti a farlo. Taibbi ha dimostrato anche come i rapporti dell’intelligence nel 2022 si sono sforzati di dare forma a narrazioni di notizie relative all’Ucraina e all’invasione russa. Un rapporto che elenca gli account presumibilmente legati alla “Propaganda neonazista ucraina” ha spinto Twitter a posizionare i siti che sottolineavano il ruolo lucrativo di Hunter Biden nel consiglio di amministrazione di Busima, la compagnia energetica ucraina, sotto blacklist. Altri rapporti, tra cui uno dell’agosto 2022, comprendevano “lunghe liste di giornali, tweet o video di YouTube” che l’intelligence statunitense riteneva colpevoli di “narrazioni anti-ucraine”. “Le informazioni sull’origine oscura di questi account potrebbero essere vere. Ma così potrebbero esserle almeno alcune delle informazioni al loro interno sui neonazisti, le violazioni dei diritti nel Donbass e persino sul nostro stesso governo – si chiede Taibbi – Dovremmo bloccare questo materiale?”.

Una persona su 40 a San Francisco vive in strada

Boom di senza casa nella notoriamente costosa San Francisco quest’anno a Natale, circa 1 ogni 40 residenti, secondo il San Francisco Chronicle, ovvero almeno 20mila. Molti i video sulla disastrata situazione a San Francisco che sono diventati virali proprio a Natale.

Tutta la famiglia di Pelé ha passato il Natale nell’ospedale dove è ricoverato da 27 giorni O Rei

Ieri notte Kely Nascimento, figlia di Edson Arantes do Nascimento ha pubblicato un nuovo post sui suoi social network in cui appare con i suoi fratelli. L’erede del re del calcio ha ringraziato i professionisti dell’ospedale Albert Einstein, a San Paolo, per le cure che suo padre ha ricevuto sinora.

Paolo Manzo, 26 dicembre 2022


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Caro Porro, caccia al tesoro: Carofiglio, Murgia e Saviano non mancano

Caro Nicola,

sono un assiduo lettore della Zuppa e guardo tutte le tue trasmissioni del lunedì. Oggi mi sono recato dalla Feltrinelli di Salerno per acquistare il tuo libro e senza sorprese ti rappresento che, a mia richiesta, ho notato che l’addetto era un poco stupito, oltre a dirmi che in libreria era rimasta una sola copia e non sapeva se era stata trattenuta in lettura né se ne erano sprovvisti.Non serve aggiungerti trattandosi della Feltrinelli, che in bella mostra vi erano i libri dei fenomeni Carofiglio, Murgia e Saviano. Che altro aggiungere? Ritornerò in libreria, intanto ti auguro una buona serata ed un Buon Natale.

A presto, Francesco. Adda turnà BAFFON (zio Stalin).

Caro Porro,

trovato!!!! Libreria Cerutti e Pozzi di Luino (VA) Mondadori Bookstore, scaffale dei saggi, vicino al libro di Renzi, rimaste ancora due copie. La gentile commessa mi ha proposto l’incarto o il sacchetto, rifiutato entrambi ho tenuto in bella mostra il libro mentre camminavo in Luino, me lo leggerò con calma dopo l’intervento di cataratta a cui verrò sottoposta a breve. Io vedo poco e male a causa di un problema agli occhi ma quelli di sinistra oltre che “ciechi” sono violenti, presuntuosi e supponenti.

Ti seguo sempre anche se non sono d’accordo al 100% con tutto quello che dici.
Con affetto Silvana

Ciao Nicola,

ho trovato e acquistato tre copie del tuo libro esposte in bella vista nella graziosa cartolibreria Minatelli, in quel piccolo scrigno che è Polcenigo (citato anche da Sgarbi nell’ultima puntata di Quarta Repubblica).
Buon Natale,
Luigi

Gas, quello che non vi dicono: le 6 fregature del price cap

Il meccanismo del tetto al prezzo del gas è una successione di supercazzole

gas prezzo-1

Si sarebbe potuta cercare una soluzione vera, intervenendo sui meccanismi di funzionamento dei mercati interni del gas e dell’elettricità. Ma il governo Meloni ha preferito non scontentare chi in Italia, ormai da due decenni, specula liberamente sui prezzi dell’energia. Ha invece sposato acriticamente la posizione assunta mesi fa dal governo Draghi: è l’Unione Europea che deve porre un limite all’aumento del prezzo del gas (e quindi dell’elettricità, che in Italia è prodotta per il 45% con il gas). E così, la (non)soluzione del “price cap” approvata dalla Commissione Europea dopo mesi di indecisioni e contrasti (Austria e Olanda si sono astenute e l’Ungheria ha votato contro) è stata presentata alla pubblica opinione nazionale come “il trionfo della posizione dell’Italia”. Un “trionfo” che non servirà a porre gli italiani al riparo dagli aumenti ma che, in compenso, lascia intatti gli interessi di chi specula sull’energia.

Se si tenta di approfondire (capire sarebbe troppo…) il meccanismo di funzionamento del price cap introdotto dall’Ue ci si trova di fronte ad una applicazione magistrale della supercazzola di tognazziana memoria, per la prima volta in edizione multilivello.

Supercazzola di primo livello. L’Ue ha introdotto un price cap sul prezzo del gas naturale a 180 euro/MWh. Chi sa un po’ d’inglese pensa che si tratti di un prezzo che non dovrà essere superato. Invece no: è un prezzo che deve essere necessariamente superato. Infatti, il meccanismo di controllo del prezzo del gas scatta solo se la quotazione del gas TTF alla borsa di Amsterdam supera il price cap per almeno tre giorni lavorativi consecutivi.

Per approfondire

In tal caso, entra in gioco la supercazzola di secondo livello. Superato per tre giorni il price cap, il prezzo del gas deve essere confrontato anche con il prezzo del gas naturale liquefatto (GNL): quello che non arriva via tubo ma via nave, e che dovrebbe costare meno (ma non è detto che sia così) di quello che arriva via tubo.

Se la quotazione del gas TTF (via tubo) alla borsa di Amsterdam supera di 35 euro/MWh anche il prezzo del GNL (per tre giorni lavorativi consecutivi), allora scatta il cosiddetto “limite di offerta dinamica”, ovvero la supercazzola di terzo livello.

Una volta che si siano verificati contemporaneamente i due sforamenti del prezzo del gas (sopra i 180 €/MWh e 35 €/MWh sopra il prezzo del GNL) gli operatori del mercato (ovvero chi vende o compra gas in borsa) sono obbligati a concludere ogni transazione ad un prezzo superiore al price cap ma inferiore ad un “limite di offerta dinamica” pari al price cap più 35 €/MWh. Quest’obbligo permane per almeno 30 giorni lavorativi ma si disattiva automaticamente se il prezzo TTF del gas torna (per tre giorni lavorativi consecutivi) sotto il livello di 180 €/MWh.

In particolare, una volta entrati nel limite di offerta dinamica, possono accadere due cose: 1) il prezzo del gas scende sotto i 180€/MWh entro i 30 giorni lavorativi, oppure 2) il prezzo del gas resta sopra i 180 €/MWh per più di 30 giorni lavorativi. Nel primo caso il sistema torna ai normali meccanismi di contrattazione. Nel secondo caso (supercazzola di quarto livello) l’Ue prende atto della situazione e sposta il price cap e il limite di offerta dinamica ai nuovi livelli di prezzo imposti dall’offerta.

Per approfondire

Esiste infine la possibilità che, durante il regime di prezzi “bloccati” (si fa per dire), chi fornisce il gas, non trovando remunerativo il limite di offerta dinamica, cessi di vendere il gas ai paesi dell’UE (ovvero, interrompa le forniture) e lo dirotti verso i mercati non regolati. Il meccanismo ideato per gestire quest’ultima eventualità è la quinta supercazzola, la più divertente: se durante i 30 giorni del regime controllato si verifica un’interruzione delle forniture, chi ha bisogno di gas naturale può acquistarlo a valere sugli stoccaggi dei paesi Ue. Ma per prevenire l’interruzione delle forniture l’Ue si riserva la possibilità di disattivare immediatamente il price cap e il limite di offerta dinamica: abbiamo scherzato; amici come prima…

Non manca, infine, la supercazzola di sesto livello. Il price cap e il limite di offerta dinamica si applicano solo alle transazioni concluse attraverso le borse del gas; non si applicano alle transazioni effettuate al di fuori delle borse; modalità, quest’ultima, che normalmente interessa circa il 40% del gas acquistato nei paesi dell’Ue. Il price cap non può inoltre valere per i contratti già stipulati, che ovviamente non lo prevedono. A tale proposito, occorre ricordare che quasi tutti i contratti di fornitura di gas oggi attivi in tutta Europa sono stati stipulati negli anni scorsi con durata pluridecennale: oltre l’85% dei contratti di fornitura oggi attivi nei paesi europei ha un orizzonte temporale di fornitura che va dai 5 ai 35 anni.

La conclusione evidente è che il meccanismo introdotto dalla Commissione Europea non può funzionare e che, anche qualora funzioni, 1) non è in grado di limitare efficacemente i prezzi e 2) espone li paesi europei a rischi concreti di interruzione delle forniture. Un vero trionfo, non c’è che dire.

Ugo Spezia, 26 dicembre 2022

Manovra, orgia di bonus: ora basta mammella di Stato

Dalla destra alla sinistra, sono tutti lì a discutere di come spendere in bonus i soldi. Che però sono i nostri

bonus legge bilancio

Quella del governo Meloni è una manovra che non fa entusiasmare. Al suo interno, i 2 terzi dei fondi sono destinati agli aiuti sulle bollette. Augusto Minzolini dice che manca una riduzione fiscale. Figuratevi voi se non sono d’accordo, ma il punto non è soltanto questo: bisogna ridurre la spesa pubblica.Siamo dei drogati attaccati alla mammella dello Stato. Ognuno di noi percepisce qualche piccola elemsosina di spesa pubblica. A fronte di 1.700 miliardi di PIL, 2.700 sono i miliardi del debito pubblico e 1.100 quelli della spesa pubblica.

Da Berlusconi al Pd, tutti vogliono finanziare le proprie proposte: dalle pensioni, ai sostegni per cultura e per le imprese, passando per la pubblica istruzione e per gli ospedali. Ma chi li paga tutti questi soldi?

Nicola Porro, 25 dicembre 202

Ecco il meglio della Zuppa di Porro di questa settima

Dietro la “nuova” Schlein i padrini Soros e Prodi

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Segnalazione di Federico Prati

L‘anti Meloni non ha un padrino. Bensì due: Romano Prodi e George Soros. La rete di lobby che strizza l’occhio alla scalata politica della giovane Elly Schlein, la parlamentare indipendente dal volto pulito, va dalla Cina alla Francia. Passando per l’Emilia rossa, terra del professore Prodi e del movimento delle Sardine.

La novità rischia già di essere chiusa in una gabbia. Alle spalle di Elly, che promette aria fresca, si muovono, nell’ombra, gruppi di potere, circoli finanziari e organizzazioni politiche straniere che puntano tutte le fiches sulla «figura nuova» per imporre anche in Italia un modello politico alternativo a quello del premier Giorgia Meloni. Lo sponsor numero uno della candidatura di Elly Schlein alle primarie del Pd, che in Parlamento non ha votato l’emendamento per il ripristino di Italia Sicura, proprio come i grillini, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. L’endorsement di Prodi, avvenuto nelle settimane scorse – pare dopo il faccia a faccia con l’ex vicepresidente della Regione Emilia Romagna – avrebbe sbloccato la trattativa. Ma soprattutto l’intervento del professore sarebbe stato decisivo per spostare su Schlein pezzi di nomenclatura di sinistra, inizialmente orientati ad appoggiare Andrea Orlando. Due nomi su tutti: Enrico Letta e Nicola Zingaretti. Prodi si è portato dietro il movimento delle Sardine. Non è un mistero che l’ex fondatore dell’Ulivo sia il loro padre nobile. Con Prodi c’è un pezzo di Cina che guarda di buon occhio l’ascesa di Schlein a capo della sinistra italiana. L’ex premier di centro-sinistra negli anni ha costruito una rete di rapporti stabili con Pechino. I libri e le lezioni di Prodi spopolano nelle università cinesi. Ma non solo: negli anni l’ex leader dell’Unione è stato uno dei più convinti sostenitori dell’espansione commerciale e finanziaria della Cina in Italia e in Europa. Mentre nell’aprile scorso La Verità ha svelato la spinta di Prodi per la produzione in Emilia di auto di lusso made in China.

C’è un dettaglio da segnalare. Nel suo primo discorso, da candidata alla segreteria del Pd, Schlein ha fissato la priorità della sua agenda politica: le energie alternative. Un assist alla Cina che domina il mercato mondiale per la produzione dei pannelli solari fotovoltaici. L’altro grande padrino-sponsor della giovane candidata alla segreteria del Pd è il finanziere ungherese naturalizzato statunitense George Soros. Le idee di Soros su immigrazione e globalizzazione sono notoriamente in contrasto con il modello meloniano. Idee incarnate da Elly Schlein. Al punto da meritarsi tra il 2014 e il 2019 l’inserimento nella lista degli eurodeputati «amici» del finanziare. La lista fu compilata dall’organizzazione «filantropica» Open Society Foundations, che opera come lobby politica per conto del miliardario, ed è tuttora reperibile sul web.

Con l’endorsement di Letta a Schlein esultano Parigi e Pechino. Il segretario dimissionario del Pd, che ora si schiera al fianco della giovane deputata, ha avuto negli anni una fittissima rete di relazioni con gruppi finanziari cinesi e parigini. Per due anni Letta è stato in Publicis, colosso pubblicitario francese criticato per i rapporti con i sauditi. E poi è stato anche vicepresidente per l’Europa occidentale del veicolo di investimento cinese ToJoy. Tutte lobby e gruppi di interesse che cercano una sponda nei leader e partiti politici italiani. Sponda che sperano di trovare in Schlein grazie al ponte dei suoi padrini politici.

La lobby scende in campo in prima persona, perché ormai non si fida più dei fedeli sudditi e vuole accelerare i due obiettivi principali : da una parta la scomparsa del popolo italiano attraverso l’immigrazione incontrollata e la trasformazione del Paese in coacervo di minoranze in lotta tra di loro per una torta di welfare che si fa ogni anno più piccola, dall’altra assicurarsi una politica estera filo israeliana e filo americana. Senza dimenticare la svendita di quel che resta dell’industria nostrana alla Cina. Poteva qui mancare lo ‘svenditore’ Prodi? Notare, inoltre, gli agganci internazionali della Schlein e, sul piano interno, i possibili (diciamo certi) finanziamenti di Soros per le eventuali campagne elettorali. Per non parlare del pompaggio mediatico che già si annuncia tambureggiante.
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Dietro la “nuova” Schlein i padrini Soros e Prod

 

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