Prima Monti, poi Letta e Renzi: quell’Italia del PD che per la Ue è diventata il fanalino d’Europa

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Segnalazione Quelsi

by Rosengarten

 

LETTA RENZINon ci sono più alibi che tengano per nessuno: è un fatto incontrovertibile che l’evoluzione della politica italiana negli ultimi ventotto mesi è stata determinata solo dal PD sotto l’attenta regia di Giorgio Napolitano, il primo Capo dello Stato presidenzialista della Repubblica, un ruolo ed una figura che l’attuale Costituzione neppure prevede. E’ storia vecchia e nota. Con una drammatica telefonata mai smentita, ma anzi accertata e divenuta di pubblico dominio, il Capo dello Stato ha ritenuto di poter allargare le sue “consultazioni” per la formazione di un nuovo governo “non di centrodestra” alla cancelliera tedesca, ed ai suo vassalli mitteleuropei, facendo tesoro dei segnali arrivati nel corso dei sondaggi dell’estate 2011 presso i Grandi Vecchi della sinistra italiana, i faccendieri che manovrano dietro le quinte opinione pubblica, governi e “poteri forti” per orientarli alla tutela dei propri particolari interessi. Tutti segnali di luce verde quelli ricevuti per avere il via libera per boicottare il governo in carica e creare le condizioni di una “sua spontanea abdicazione”.

Oggi c’è una ventata di aria fresca a Palazzo Chigi. Renzi promette riforme miracolose, “una al mese, per il bene del Paese”, dipinge nuovi scenari, prospetta sviluppi fantascientifici, ma poi si ferma di botto: “basta con gli annunci, è ora di fare”. Ma qui Renzi scopre la morale nascosta nel vecchio adagio polare che avverte che tra il dire ed il mare c’è di mezzo il mare. Voleva 10 ministeri, gliene fanno fare 16, voleva un esecutivo agile, gli impongono una zavorra di 44 sottosegretari; voleva tutti volti nuovi, gente giovane o non compromessa con la vecchia politica, si è presentato con una lista farcita di indagati ed ha riproposto molti di quelli trombati con il “Letta Primo” (ed ultimo). La legge elettorale, il pretesto originario di Renzi segretario del PD per metter fretta a Letta, cui concesse 2 minuti e 45 secondi per scriverla, concordarla preventivamente e farla approvare da Camera e Senato, che l’ex inquilino del Governo Vecchio aveva giurato di regalare al Paese entro la fine di febbraio, invece sta nel limbo delle intenzioni destinate a rimanere tali. Nella migliore delle ipotesi, se va bene, avremo una Camera eletta con il semi-Italicum che offre garanzie di governabilità, ma con la zeppa di un Senato eletto con il “Consulticum”, la legge elettorale varata dai 13 membri veterocomunisti su 16 della Consulta, che renderà aleatorio ogni tentativo di costituire una qualsivoglia maggioranza in Senato, di fatto arrivando al blocco totale della funzione legislativa.

Una situazione di stallo che non si sbloccherà mai, almeno sino a quando non si possa decidere di fare piazza pulita mandando a casa Napolitano, il PD, Renzi ed i suoi “poltron-attaccati lecchini”. Ma non è facile. Con il ricatto della legge elettorale monca che proprio chi l’aveva proposta come misura necessaria ed urgente ora blocca, si tiene in vita un esecutivo asfittico, che nelle sue prime due settimane di vita è solo riuscito a sperperare denaro pubblico dando una mano al Sotto-Marino, come ora chiamano il sindaco di Roma dopo la sua dimostrata incapacità a gestire una mini-alluvione, cioè ad aumentare le tasse (benzina) od a prospettarne di nuove (la patrimoniale di Delrio). Se questo è il nuovo che avanza siamo a posto. Tutto questo caos fa il gioco di Alfano e dei derelitti associati ex Monti, che finchè non c’è legge elettorale non corrono il rischio, perchè le elezioni lascerebbero tutto tale e quale ad adesso, di essere tutti appiedati e mandati definitivamente a pescare dorados a Bariloche, nella provincia argentina del Rio Negro (pardon, Rio di Colore). Quindi, prima che la notte dei lunghi coltelli “democratici” non consumerà l’ennesimo golpe interno, dobbiamo rassegnarci a tenerci questo esecutivo: dall’attendismo ed i rinvii di Letta, alle sceneggiate da operetta di Renzi, un putto strappato dal collo di un fiasco di Chianti che alla fine dovrà accettare di essere manovrato e condizionato dai soliti Grandi Vecchi che non si sono opposti (per il momento) al suo ingresso a Palazzo Chigi in attesa di capire se scherza o vorrebbe veramente fare cose di testa sua.

Il risultato di questa “grande, nuova politica” delle sinistre al servizio e per il bene del Paese si vedono e si toccano con mano. Siamo cresciuti abituati a stare in basso in tutte le classifiche europee, ma senza mai toccare il fondo. Ma grazie al PD, a Napolitano, Monti, Letta e Renzi, ora finalmente stiamo dietro in quasi tutte le classifiche che in questo momento contano, perchè sono quelle che descrivono e misurano le effettive possibilità che si hanno per agganciare la ripresa che si sta manifestando un po’ dappertutto in Europa e nel mondo, anche se lenta ed a macchia di leopardo. Il confronto è impietoso e la stroncatura dell’Europa che ci arriva addosso, quasi d’improvviso, tutti impegnati come siamo a parlare di Gentile e del Ruby ter, è dura e senza possibilità d’appello. Il Rapporto Ue sugli Squilibri Economici è raggelante per noi e tutte le componenti del “sistema Italia”, dalla scuola al sistema fiscale, dalla burocrazia corrotta alla giustizia fatiscente, sono oggetto delle critiche durissime di Bruxelles, per la quale occorre dare impulso ad una strong policy action, cioè ad una forte iniziativa politica. Sì, ma con chi, con Renzi ed il PD&Co.?

Tra i paesi del PIIGS, Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna il nostro è l’unico rimasto al palo delle riforme. Ne esce fuori un quadro desolante che in una sua analisi del Rapporto che condividiamo pienamente, Filippo Caleri riassume in questi termini:

…durante la crisi dello spread, i Piigs hanno approfittato della tempesta finanziaria per mettere in campo riforme ben fatte che hanno di fatto accelerato la riaccensione delle macchine produttive. Non così l’Italia nella quale i dossier più importanti sono rimasti a impolverarsi nei cassetti di Palazzo Chigi. Sotto accusa il lavoro degli ultimi due governi, quello di Mario Monti, acclamato come salvatore della Patria, e che ha prodotto solo due striminzite riformine. Quella della previdenza, che avrebbe potuto formulare anche un semplice ragioniere visto che in sostanza ha solo spostato in avanti il traguardo per guadagnare la pensione. Insieme al cambio delle norme per il mercato del lavoro. Poco incisiva e fiacca per non disturbare i sindacati più conservatori e complicata al punto da mettere in campo la magistratura per dirimere i casi più controversi. Poi null’altro. Anche il successivo governo Letta ha prodotto ben poco sui temi veramente non rinviabili che oggi sono oggetto delle aspre critiche di Bruxelles. Non solo. Dopo la bacchettata che oggi cadrà sulle mani di Renzi, il tempo per mettere una toppa è veramente poco. Il rapporto che sarà diffuso oggi dalla Commissione Ue, infatti, è un tassello del Six Pack, il nuovo trattato europeo che fissa i parametri economici ai quali i governi europei si devono attenere. Sulla base del quadro delineato dal dossier, gli esecutivi devono presentare entro aprile un piano di riforme per correggere gli squilibri economici evidenziati. La Commissione ha tempo fino a giugno per esprimere il via libera ai piani o per chiedere integrazioni e correttivi. Il rischio è che l’Italia che ha oggi una nuova squadra di ministri, appena insiediati sulle loro scrivanie, non abbia il tempo materiale per mettere a punto la stesura dei provvedimenti ormai necessari.

Tradotto in soldoni, questo significa che al momento l’Italia non dispone degli strumenti necessari per agganciare il treno della ripresa, che potremo solo guardare mentre passa allontanadosi veloce per poi scomparire dietro l’orizzonte.

Di chi è la colpa di questa situazione? Vediamo un po’. Per Napolitano nel 2011 non c’era tempo, bisognava fare in fretta, l’Europa e lo spread incombevano, Berlusconi stava facendo fallire l’Italia ed in cascata l’Europa ed il resto del mondo. Elezioni? No, sarebbero una catastrofe sentenziarono dall’alto della loro saggezza Napolitano, Monti, Olli Rehn, Barroso, la Merkel, De Benedetti, Dario Fo, Scalfari, il Corsera, la Repubblica e via cantando. Occorreva un governo tecnico che mettesse i conti in ordine (quelli delle banche), riformasse la previdenza e “desse un nuovo stile di vita agli italiani”. Fatto: produzione in picchiata, consumi crollati, tagliati persino i viveri, vacanze rinviate a tempi migliori, scuole disertate, due generazioni annullate e tanti suicidi. Gli altri invece il tempo lo hanno trovato, hanno fatto le cose per benino senza farsi condizionare dalla fretta e si sono addirittura concessi il lusso di indire elezioni politiche, in Grecia addirittura due, per dare la parola agli elettori.

Non contenti del primo fallimentare e disastroso governo tecnico di Monti, Napolitano ed il PD hanno imperversato: prima con il governo Letta e poi adesso con quello del Putto di Firenze, che si distinguono dal governo Monti perchè condotti da politici, ma entrambi farciti di tecnici o di gente inesperta della politica, per cui si tratta sempre dello stesso oggetto cui sono state date delle riverniciatine per farlo apparire diverso. Per dovere di cronaca precisiamo che i governi, peraltro di destra, che stanno facendo bene in Spagna e Grecia sono esattamente quelli scelti e voluti dagli elettori, per cui non ci sembra una casualità il fatto che, pur tra mille difficoltà, chi è eletto possa governare con una certa tranquillità, senza le fibrillazioni che caratterizzano una compagine governativa formata furtivamente nei corridoi dei Palazzi del potere e che dispone di una maggioranza incerta e raccogliticcia. Ma qui da noi il problema è un altro: quando ha la maggioranza il PD regna sovrano e fa e disfa come gli pare, quando la maggioranza non ce l’ha crea crisi e chiama Napolitano. Ma a rimetterci in questi giochini è sempre e solo il Paese.

Rosengarten | marzo 5, 2014 alle 5:20 pm | URL: http://wp.me/p3RTK9-40V

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