di Matteo Castagna per Stilum Curiae
Si è conclusa giovedì 27 novembre, a Brema, la riunione dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), nella quale i paesi membri hanno definito il percorso di sviluppo dei prossimi programmi spaziali del nostro continente, probabilmente alla luce del fatto che oggi SpaceX di Elon Musk detiene, sostanzialmente, il monopolio dei satelliti in orbita.
I Paesi europei hanno deciso di incrementare del 30% gli investimenti spaziali per il prossimo triennio, portandoli a 22,1 miliardi di euro. Anche l’Europa si è resa conto che “lo spazio è estremamente attrattivo e necessario per la società” oltre che “sempre più importante per la sicurezza e la difesa”. Sono state queste le parole del direttore generale Josef Aschbacher.
L’Italia – riferisce Start Magazine – emerge come uno dei protagonisti e assume ufficialmente la presidenza della prossima conferenza, prevista nel 2028, che si svolgerà nel nostro Paese. E’ previsto anche che sarà italiano uno dei tre astronauti che parteciperanno alle prossime missioni sulla luna del programma Artemis della NASA.
Per il nostro Paese, l’impegno si è attestato a 3,5 miliardi di euro per i prossimi tre anni. L’Italia è, ancora una volta, tra i primi tre Stati più importanti dell’Esa: la Germania è in prima posizione, con 5,1 miliardi di euro, la Francia è seconda, con 3,7 miliardi di euro.
E in questo nuovo corso per lo spazio europeo con una crescita del 30% di investimenti, un tassello fondamentale è il nuovo progetto di osservazione della Terra a duplice uso dell’Esa, denominato “European Resilience from Space” (ERS), che potrebbe avere applicazioni sia civili che militari.
Il Financial Times sottolinea che tale piano, proposto dall’agenzia, ha ottenuto quasi tutti i finanziamenti richiesti. Mira a creare un “sistema di sistemi” di livello militare che metta in comune le risorse spaziali nazionali per fornire capacità di sorveglianza, comunicazione e navigazione sicure, nonché l’osservazione della Terra a fini climatici. Insomma, il rapporto tra spazio, controllo e difesa sta diventando sistemico nel Vecchio Continente, che, quindi, si prepara alla concorrenza, soprattutto cinese.
In questa linea va intesa la necessità complementare di reintrodurre in Italia un nuovo servizio militare su base volontaria, come già fatto in Francia e in Germania. A confermarlo è il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, in conferenza stampa a Parigi.
Le dichiarazioni di Crosetto arrivano parallelamente al progetto di Servizio nazionale universale (Snu) annunciato da Macron, che prevede un servizio militare per i giovani di 18 anni, su base volontaria, 25 anni dopo la fine della leva obbligatoria in Francia.
Come ricordava, sempre giovedì scorso, la BBC, il Belgio e i Paesi Bassi hanno introdotto un modello volontario, mentre la Germania sta preparando una misura analoga.
Secondo il ministro Crosetto “se la visione che noi abbiamo del futuro è una visione nella quale c’è minore sicurezza, va fatta una riflessione sul numero delle forze armate sulla riserva che potremmo mettere in campo in caso di situazioni di crisi. Noi abbiamo costruito modelli, in Italia, come in Germania, come in Francia, negli anni scorsi, che riducevano il numero dei militari. In questa nuova situazione, tutte le nazioni, non soltanto europee, mettono in discussione quei modelli che avevamo costruito 10-15 anni fa, e tutti stanno pensando di aumentare il numero delle forze armate”.
Con questa riserva militare ausiliare di diecimila volontari si arriverebbe così a recuperare il gap più volte lamentato dalle forze armate sulla scarsa presenza di uomini e donne a servizio della Difesa, che oggi sono poco più di 160mila.
La Difesa sta puntando a una riserva militare ausiliaria, articolata per specifiche competenze, pronta a essere attivata in caso di necessità.
“È uno schema che non è molto diverso da quello tedesco, perché prevede una volontarietà” – ha spiegato il ministro Crosetto ai giornalisti a Parigi. “Quello tedesco ha un automatismo che scatta, quello francese – da ciò che leggo – è totalmente volontario” ha aggiunto.
L’ANSA del 27 novembre ha ricordato che la riserva potrebbe essere composta da non oltre diecimila unità e si tratta di una disposizione già introdotta dalla legge 119 del 2022 dal precedente esecutivo, che forniva una delega al governo.
Nelle scorse settimane, in un suo discorso ai vertici militari, nella sede del Comando operativo di vertice interforze, il titolare di Palazzo Esercito ha detto che la legge 244, che fissa il limite sul personale della Difesa a 170mila unità, va “buttata via”, perché “lo spirito con cui è nata è morto” e i numeri vanno aumentati di almeno 30-40 mila unità.
La riserva potrebbe essere composta da ex militari o personale con determinate specifiche (sempre su base volontaria), impiegabile nei casi di necessità, durante eventuali conflitti e crisi internazionali, non impiegati sul fronte dei teatri operativi, ma per il supporto logistico e la cooperazione, senza escludere interventi, anche in caso di calamità, come già avviene per i militari.
Si tratterebbe di professionisti a disposizione del Paese, sempre aggiornati con addestramenti periodici e da attivare in determinati casi: dunque non un servizio obbligatorio, proprio perché la difesa oggi più che mai ha bisogno di esperti. Però, l’ “automatismo che scatta” alla tedesca prevede che, in caso di conflitto, i volontari possano diventare coscritti e, questo, ai fini pratici, ha molto poco di volontario…
Il ministro della Difesa Crosetto l’ha chiosato in politichese: “ognuno ha un suo approccio diverso, alcuni hanno addirittura ripristinato la leva. Sapete che in alcuni Paesi come la Svizzera la parte della riserva, in qualche modo, comprende tutti i cittadini fino a oltre 50 anni. Lo stesso sistema di Israele, ma la Svizzera è da 500 anni che non ha una guerra. Anche noi in Italia dovremmo porci il tema di una riflessione che, in qualche modo, archivi le scelte fatte di riduzione dello strumento militare e, in qualche modo, porti a un suo aumento: ci sono motivi di sicurezza che secondo me rendono importante farlo”.
A parere di chi scrive, quanto espresso a Parigi dal Ministro italiano non ha ricevuto l’attenzione dovuta. Ci si sta dicendo che spenderemo miliardi per la difesa e che sarà necessario aumentare i soldati per motivi di sicurezza, che non sono stati esplicitati. Si vede una minaccia nella Federazione Russa? Vladimir Putin ha dichiarato, per l’ennesima volta, che non intende muovere guerra all’Europa, aggiungendo, stavolta, che “sarebbe pronto anche a metterlo per iscritto”. Del resto, l’Ucraina ha perso la guerra, Trump vuole starne fuori, che interesse avrebbe lo zar ad un’azione così priva di senso e azzardata, cui potrebbero credere solo Calenda e Severgnini?
Schlein, per la prima volta, non ha chiesto a Meloni di riferire in Parlamento in merito ai termini di questa necessità di sicurezza, ossia chi e cosa temono i nostri servizi di intelligence e su quali basi concrete? Ma si sa che, anche lei, spesso, è persa sulla luna…
Perciò Crosetto l’ha prevenuta, intervistato dal TG1: “penso che l’Italia debba riflettere su un nuovo modello di difesa, che sia proporzionato ai tempi difficili che stiamo vivendo. E questa è una delle cose che vanno fatte in Parlamento, al di là della maggioranza di governo, perché le scelte del modello di difesa del futuro sono scelte che riguardano un paese intero, uno Stato, una nazione, non soltanto la maggioranza”
Se questa fosse una mossa meramente politica, sarebbe una “preparazione light” per sostituire l’inapplicabile riarmo, chiesto da Ursula von der Leyen, senza farle perdere completamente la faccia. Allora, la base volontaria potrebbe essere eterna, l’aumento dei militari potrebbe rimanere sulla carta e l’implementazione spaziale potrebbe risultare una sorta di allineamento alle superpotenze globali.
Dunque, per il ministro della Difesa, l’ultima parola spetta alle Camere: “Io penso di proporre, prima in Consiglio dei ministri e poi in Parlamento, una bozza di disegno di legge, da discutere, che garantisca la difesa del Paese nei prossimi anni e che non parlerà soltanto di numero di militari, ma proprio di organizzazione e di regole”. Augurandoci che vengano spiegati meglio i presupposti e i supposti motivi per cui, in meno di un decennio si sia passati dal disarmo alla necessità di una difesa così ampia, costosa e strutturata.






