“I cristiani non rimarranno più a lungo a Gerusalemme”

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Segnalazione del Centro Studi Federici

La notizia che segnaliamo non la troverete sui media italiani, di sinistra o di destra, perché nessuno ha il coraggio di denunciare la logica conclusione dell’occupazione sionista della Terra Santa: il tentativo di cacciare i cristiani da Gerusalemme. Solo i mezzi d’informazione legati alle strutture ufficiali della Chiesa in Terra Santa denunciano periodicamente (seppur con toni annacquati in nome del “dialogo giudaico-cristiano”, toni presenti anche nell’articolo che pubblichiamo) la crescita di aggressioni verbali e materiali nei confronti dei cristiani: voce che grida nel deserto… L’ultimo fatto riguarda una troupe del “Terra Sancta Museum” aggredita da un gruppo di giudei.
 
«Non vogliamo cristiani qui!»
 
Il 12 ottobre scorso, durante le riprese per un materiale audiovisivo destinato al Terra Sancta Museum, lungo l’antico cardo di Gerusalemme, la troupe è stata cacciata da un gruppo di ebrei ortodossi. Un incidente non isolato.
 
«Fate i bagagli e andatevene!», ordina un ebreo ultraortodosso sulla trentina alla troupe cinematografica del Terra Santa Museum, prima di aggiungere con tono aggressivo: «I cristiani non rimarranno più a lungo a Gerusalemme». L’episodio, del tutto reale, è avvenuto mercoledì 12 ottobre mattina – mentre gli ebrei erano in piena celebrazione della festa di Sukkot – sul selciato del vecchio cardo romano, che solca il quartiere ebraico della città vecchia. È l’ennesimo esempio dei quotidiani gesti di intolleranza commessi contro i cristiani a Gerusalemme.
 
La squadra della Custodia di Terra Santa, composta da cristiani francesi e palestinesi, si trovava quella mattina nel cardo per girare alcune scene di un video educativo che sarà proiettato ai visitatori della sezione storica del Terra Sancta Museum in via di allestimento presso il convento francescano di San Salvatore.
 
L’audiovisivo servirà a raccontare la storia della presenza cristiana in Terra Santa. La scena che si stava girando il 12 ottobre vuole mostrare i primi ebrei seguaci di Gesù, che, diventati cristiani, continuano a pregare secondo la tradizione ebraica. Quattro israeliani hanno accettato di recitare indossando abiti d’epoca e scialli da preghiera. La produzione aveva ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per girare sul cardo.
 
«All’inizio, i passanti ci guardavano con curiosità – riferisce una dei membri del gruppo di lavoro – poi è arrivato un ebreo ortodosso che ci ha chiesto cosa stessimo facendo, prima di chiamare altri suoi amici. Una decina di minuti più tardi sopraggiunge un intero gruppo che entra nel campo di ripresa delle telecamere e cantando motivi religiosi». «Hanno capito che eravamo cristiani. Non sembravano particolarmente aggressivi, ma neppure molto benevoli – soggiunge la giovane testimone –. Abbiamo subito messo via l’attrezzatura e i figuranti se ne sono andati».
 
Un’intimidazione
 
Quello descritto non è un incidente isolato. Atti di inciviltà, come sputi e insulti, sono frequenti da parte di una popolazione ebrea ultraortodossa che poco sa del cristianesimo. Anche i monasteri e conventi situati sul monte Sion sono regolarmente oggetto di atti vandalici da parte degli appartenenti a gruppi radicali.
 
«Penso che sia un’intimidazione – osserva una delle comparse coinvolte la mattina del 12 ottobre, un israeliano, ebreo praticante e molto impegnato nel dialogo ebraico-cristiano –. Vogliono solo mostrare il loro potere là dove sono, ma non c’è nient’altro dietro. Se fosse stata presente la polizia, non avrebbero fatto nulla». (…)
 
«Incidenti simili sono imbarazzanti perché si imprimono nella memoria e danneggiano l’immagine della città e delle persone che vi abitano. Atteggiamenti simili vanno contro quello che stiamo cercando di fare: insegnare e spiegare», denuncia Hana Bendcowsky, direttrice dei programmi del Centro di Gerusalemme per le relazioni ebraico-cristiane (Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations – Jcjcr), la cui pagina Facebook ha riportato il video dei fatti qui descritti. https://www.facebook.com/jcjcr.org/videos/1601281490269690
 
C’è anche chi si adopera per disinnescare le tensioni: dal 2021, ad esempio, alcuni volontari israeliani in giubbotti gialli dell’associazione Finestra sul Monte Sion, accompagnano ogni domenica le processioni armene (minacciate dai giudei, ndr) dal convento di San Giacomo alla basilica del Santo Sepolcro.
 

Senatrice Segre, non si lasci tirare dalla giacchetta

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di Emilio Giuliana

Il nome Segre, da anonimo, da qualche anno è passato alla ribalta; eppure, a bene guardare in alcuni casi il nome Segre nella storia italiana degli ultimi 150 anni si è reso protagonista, lasciando il segno. Il capitano Giacomo Segre, bombardò porta Pia, in quanto nessun cristiano avrebbe voluto  incappare nella scomunica inflitta da papà Pio IX, prevista per coloro che avrebbero cannoneggiato. Anche durante il periodo del governo monarchico fascista italiano, il nome Segre si fece notare. Ad esempio Guido Segre fu responsabile dell’Azienda Carboni Italiani; Il grande industriale Giuseppe Segre (padre del più famoso Emilio Segre), proprietario della “Società Anonima delle Cartiere Tiburtine ed Affini”; altri Segre invece si distinsero per avere osteggiato il governo monarchico fascista; appartenevano al movimento anti fascista clandestino, denominato “Giustizia e Libertà” Sion Segre, Attilio Segre, Marco Segre, Umberto Segre. Sion Segre ed in seguito Attilio Segre, Marco Segre e Giuliana Segre furono arrestati a causa  di introduzione clandestina, pubblicazioni, manifestini ed altra propaganda anti fascista. Emilio Gino Segre, membro dello storico gruppo di via Panisperna, il quale nel 1938 spontaneamente migrò negli USA, diventando collaboratore degli Stati Uniti d’America; Alberto, padre della senatrice a vita Liliana Segre,  fu arrestato dai soldati tedeschi nel mese di dicembre del 1943, intento a fuggire nella vicina Svizzera. Roberto Segre, padre della ormai famosa Liliana, fu arrestato e imprigionato, non perché ebreo, ma per ostilità e nemico attivo della Germania e l’Italia repubblicana e sociale (https://anpi.fattispazio.it/index.php?option=com_content&view=article&id=498%3Aalberto-segre&catid=113%3Adove-sono-elenco-delle-pietre-dinciampo&Itemid=80&fbclid=IwAR3exPMEKXn_5mWpKCIW4sQkwCS0jzj2rTUK0u8oRWeN_pmXqA0eYDAq9o8). Quando Roberto e Liliana furono arrestati, e separati, chi si prese cura della bambina Liliana, chi è perché fu risparmiata dalla morte? Per tornare ai giorni nostri, l’agenzia di stampa AdnKronos riporta le seguenti parole pronunciate dalla senatrice Liliana Segre in apertura della prima seduta del Senato:<<….presiedo il tempio della democrazia a 100 anni dalla marcia su Roma provo vertigini>>. Dopo queste parole, è doveroso far presente l’emergere di alcune incoerenze, voglio sperare frutto di amnesie. Ad esempio, il proprio marito  Alfredo Belli Paci era stato un attivo militante del Movimento Sociale Italiano, quest’ultimo contenitore politico annovera al suo interno “impenitenti” reduci fascisti, ed ebbe più volte come segretario nazionale, Giorgio Almirante, già direttore del quindicinale La difesa della Razza. Dunque, se penso a fdi, che anti fascista lo è davvero, ancor più dei militanti dell’ANPI, e al MSI che rivendicava la propria continuità con il fascismo, Liliana Segre, perché teme Fdi, ma non temeva il fascistissimo MSI? L’attaccamento di Alfredo Belli Pace al MSI e il suo segretario nazionale  Almirante era evidente, infatti quando nel 1979 ci fu la scissione dell’ala moderata, che diede vita a Democrazia Nazionale, il marito della senatrice a vita Segre, rimase nel Movimento Sociale Italiano. La senatrice Liliana Segre, non ricorda che tra i 61 fondatori dei fasci italiani di Combattimento a Milano, nel 1919, c’erano stati 5 ebrei: Cesare Goldman, Eucardio Momigliano, Gino Rocca, Riccardo Luzzatto e Pietro Jacchia.

La senatrice Segre, in considerazione delle vertigini provate, a causa della ricorrenza del centenario della MARCIA su ROMA, è a conoscenza del fatto che tra coloro che il 28 Ottobre del 1922, parteciparono alla « Marcia su Roma», c’erano stati 230 ebrei?

Approfitto, per ricordare solo una piccola parte del forte legame tra una parte considerevole di ebrei italiani e il fascismo.

Nel 1923, 746 ebrei erano risultati iscritti al Partito Nazionale Fascista (PNF). Tra il 1928 ed il 1933, i medesimi iscritti ebrei divennero 4.960; e, tra il 1934 ed il 1938, diventarono circa 10.000 o, come precisa Renzo De Felice, 10.125;

Nell’Ottobre del 1930, il Governo fascista — con approvazione del Consiglio dei Ministri (16 Ottobre 1930) e la fattiva e costruttiva collaborazione degli ebrei italiani Giulio Foà ed Angelo Sullam — aveva favorito e realizzato l’elaborazione, la redazione e la promulgazione della famosa « Legge Falco » (D.L. del 30 Ottobre 1930, n. 1731) o nuova « Legge delle Comunità ». Legge con la quale venivano giuridicamente riconosciute e tutelate le 26 Comunità giudaite italiane e le loro gerarchie. Quella Legge era stata successivamente perfezionata e completata con il D.L. del 24 Settembre 1931, n. 1279, nonché con il D.L. del 19 Novembre 1931, n. 1561.

 

Nel 1932, in una lunga intervista rilasciata allo scrittore ebreo tedesco, naturalizzato svizzero (1932), Emil Ludwig (alias Emil Cohn), il Duce del Fascismo non aveva esitato a confermare che in Italia «l’antisemitismo non esisteva ». Nel 1933, Sigmund Freud (1856-1939) aveva inviato uno dei suoi libri a Mussolini, con questa dedica autografa: ”da parte di un vecchio che saluta nel Legislatore l’eroe della cultura”. II 19 Ottobre 1933, l’allora Rabbino di Roma Angelo Sacerdoti, in un’intervista rilasciata a « L’Echo de Paris », aveva dichiarato: «Mussolini non ha mai avuto la più piccola arrière-pensée di antisemitismo: egli non lo concepisce nemmeno». Novembre 1933, l’intellettuale e giornalista ebreo tedesco Hanns-Erich Kaminski, in un articolo intitolato « Fascismo tedesco e fascismo italiano », pubblicato sui « Quaderni di Giustizia e Libertà » (pp. 33-36) editi a Parigi, aveva chiaramente individuato le differenze tra l’hitlerismo ed il fascismo di Mussolini nella diversa posizione politica di quest’ultimo nei riguardi degli ebrei.

Il 12 novembre del 1935, uno dei principali rappresentanti della jewsh Agency, Seling Brodetsky, nel corso della sedicesima conferenza annale della federazione delle donne sioniste  d’Inghilterra, aveva così evidenziato: << Gli ebrei non hanno alcuna questione con l’Italia. Il modo con cui l’Italia tratta gli ebrei, siano suoi cittadini o d’immigrati, è stato ed è ammirevole. Vorrei che qualche altro paese modellasse sull’esempio italiano il trattamento che riserva agli ebrei che vivono nel suo seno>>.

A conferma della difesa e benevolenza del fascismo nei confronti degli ebrei, ne sono testimoni gli ebrei stessi, direi insigni ebrei. A conferma, basterebbe leggere la requisitoria del Procuratore Generale di Tel Aviv al processo contro Adolf Eichman nel 1960, o quel bel libro di Shelah Menachem significativamente intitolato: <<un debito di riconoscenza>>.

Giorgio Bocca, nel suo libro « Il filo nero », riferisce che in Francia (dove lui era in servizio militare con il grado di Sottotenente, e destinato ad un Fronte di guerra certamente più tranquillo che altrove, se non comodo ) quando le Forze Armate italiane iniziavano a ritirarsi dai territori occupati, avevano al seguito una quantità indicibile di ebrei francesi che volontariamente seguivano i Militari italiani ben sapendo che solo da essi avrebbero continuato ad avere protezione.

Varrebbe la pena rileggere anche quel che scrissero Rosa Paini (« I sentieri della speranza »), Paul Johnson (« Storia degli ebrei »), Léon Poliakov (« Il nazismo e lo sterminio degli ebrei »), Israel Kalk (« Gli ebrei in Italia durante il Fascismo »), Salini Diamond (« Internment in Italy »), Gorge L. Mosse (« Il razzismo in Europa »); o rileggere quel che scrisse Padre Graham su “Civiltà Cattolica” del marzo 1987 in merito al Fascismo, Mussolini e gli ebrei. E così molti altri ancora.

È significativa l’espressione quasi plastica dello storico ebreo Léon Poliakov il quale nei suoi studi parla di quel famoso “schermo” o “scudo protettore” che immediatamente veniva calato a difesa degli ebrei in ogni luogo dove giungevano le Forze Armate italiane il cui primo provvedimento era quello della dichiarazione di inefficacia di ogni decisione tedesca adottata in pregiudizio degli ebrei.

In realtà vi fu sempre, specialmente durante i lunghi anni della guerra dal 1940 al 1945, una ben precisa direttiva politica testimoniata emblematicamente da un episodio: Benito Mussolini pur di mandar via il Ministro tedesco Von Ribentrop venuto a Roma per protestare per l’atteggiamento fascista di protezione degli ebrei, dette assicurazioni ingannevoli a Von Ribentrop e contestualmente ordinò al Gen. Robotti di inventarsi qualsiasi ragione o scusa ma di non consegnare ai tedeschi neanche un ebreo.

Lo stesso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro II razzismo in Europa, a p. 245 ha scritto: Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo. Le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 impedivano agli ebrei di svolgere molte attività e si tentò anche di raccogliere gli ebrei in squadre di lavoro forzato; ma mentre in Germania Hitler restringeva sempre più il numero di coloro che potevano sottrarsi alla legge, in Italia avveniva il contrario: le eccezioni furono legioni. Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio « discriminare non perseguire ». Tuttavia, l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini. Ovunque, nell’Europa occupata dai tedeschi, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia.

Concludendo, facendo presente che anche dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali italiane del 1938, l’Italia rimaneva la meta preferita di tutti gli ebrei in fuga dall’Europa;  il Brennero era divenuto il corridoio sicuro di transito verso l’Italia, ove trovare rifugio e protezione per tutti gli ebrei europei che fuggivano dai territori occupati dalla Germania.

P.S. il Senatore Abramo Giacobbe Isaia Levi (senatore del Regno dal 9 dicembre 1933 ,mantenne l’incarico fino al 1943, anno in cui iniziò ad essere perseguitato dagli anti fascisti); Stessa sorte toccata al barone Elio Morpugo, anch’egli senatore alto commissario contro il fascismo, Carlo Sforza, chiese che fosse dichiarato decaduto da senatore.

Cara senatrice Segre, senza pretesa alcuna, se leggesse ciò che ho scritto, sono certo che le sarei compiaciutamente di aiuto per lenire le sue fastidiose vertigini.

Fonte: https://emiliogiuliana.com/2-uncategorised/93-senatrice-segre-non-si-lasci-tirare-dalla-giacchetta.html

I Patriarchi Latini di Gerusalemme: Mons. Barlassina

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Il sito del Patriarcato Latino di Gerusalemme ha iniziato la pubblicazione di una serie di schede sui patriarchi che si sono succeduti alla guida dell’istituzione a partire dal 1847, quando con la Lettera Apostolica “Nulla Celebrior” il Papa Pio IX decise il ristabilimento del Patriarcato. La serie inizia con mons. Luigi Barlassina, che fu patriarca dal 1920 al 1947. Nella parte finale, evidenziata in rosso, si accenna a uno dei tanti rovinosi cambiamenti seguiti al Vaticano II.
 
Mons. Luigi Barlassina – Patriarca dal 1920 al 1947
 
Note biografiche
 
30 aprile 1872: nascita a Torino
22 dicembre 1894: ordinazione sacerdotale a Torino dal cardinale Ricardi
4 agosto 1918: viene eletto vescovo titolare di Cafarnao e ausiliare del patriarca di Gerusalemme
8 settembre 1918: è consacrato vescovo dal cardinale Pompili
28 ottobre 1918: arriva a Gerusalemme
29 ottobre 1918: nominato vicario generale
16 dicembre 1919: nominato Amministratore Apostolico dopo la partenza del  Patriarca S. B. Mons. Camassei
1919: fonda la missione di Tulkarem
8 marzo 1920: eletto patriarca all’età di 48 anni
17 aprile 1921: riapre il seminario di Beit Jala
Ottobre 1921: affida il seminario a P. Dehon. Benedettini
Maggio 1927: il seminario di Beit Jala viene riportato a Gerusalemme
2 ottobre 1932: affida il seminario ai Padri di Betharram
7 luglio 1936: trasferimento del seminario a Beit Jala
8 settembre 1943: celebrazione del suo giubileo episcopale (giubileo d’argento)
23 dicembre 1944: celebrazione del suo giubileo sacerdotale (giubileo d’oro)
13 marzo 1945: ha subito un grave infarto a Rafat
 27 settembre 1947: muore di angina all’età di 75 anni.
 
Fatti
 
Rimasto orfano di padre, ereditò da sua madre una profonda ammirazione per la Santa Vergine.
Luigi Barlassina è nato il 30 aprile 1872 a Torino, nella regione italiana del Piemonte. Perse il padre in tenera età, quando era ancora un bambino; così sua madre lo educò in un’atmosfera di grande pietà e soprattutto di grande devozione alla Ss.ma Vergine. Come vedremo in diverse occasioni in seguito, questa devozione lo caratterizzerà per tutta la vita: reciterà l’Atto di Consacrazione a Maria nella sua prima Messa e, quando fu nominato Patriarca, non mancò di onorare la Madre di Cristo in modo speciale, erigendo il famoso santuario mariano di Deir Rafat.
 
Ha promesso di non affidare mai la celebrazione delle sue messe in onore della Madonna a nessun altro.
Appena ordinato sacerdote, il patriarca Barlassina promise di celebrare tutte le messe della sua vita con le intenzioni in onore della Beata Vergine in modo assolutamente gratuito ed ha mantenuto la sua parola (v. Monitor diocesano, settembre-ottobre 1957).
 
Era un eccellente predicatore
Mentre studiava Liturgia e Cerimonie dai Padri Oratoriani nella parrocchia di Saint-Philippe (fu proprio lì che sviluppò la sua grande passione per la Santa Liturgia), il futuro Patriarca si interrogò sul futuro della sua vocazione. Ben presto gli fu affidata la direzione della scuola Alfieri-Carrù delle Figlie della Carità tuttavia questo nuovo incarico non fu sufficiente per soddisfare la tutte le sue energie. Nel 1900, su richiesta del Prof. Carlo Olivero, in occasione dell’apertura della chiesa di Nostra Signora del Cuore Immacolato di Maria, cominciò a predicarvi sotto forma di “prediche dialogate”. Il successo fu immediato, e quando fu nominato rettore di Santa Pelagia nel 1901, la chiesa divenne una delle più frequentate di Torino.
 
Ha proclamato la Vergine Maria “Regina della Palestina”
Negli anni ’20, il vescovo Barlassina decise di onorare la Vergine Maria proclamandola “Regina della Palestina” (titolo riconosciuto ufficialmente nel 1933 dalla Congregazione dei Riti). Scrisse una preghiera da recitare dopo il saluto al Santissimo Sacramento, ed eresse un santuario in suo onore a Deir Rafat. Oggi, c’è una statua della Vergine Maria con l’iscrizione Reginæ Palestinæ e il saluto angelico “Ave Maria” in 280 lingue dipinte sulla volta della chiesa. Un dipinto della Vergine che veglia sulla Palestina è esposto nella navata sinistra del santuario.
 
Ha riabilitato il seminario di Beit Jala
Il seminario del Patriarcato latino di Beit Jala fu particolarmente colpito durante la prima guerra mondiale e nel 1921 era in uno stato deplorevole. Il vescovo Barlassina, che era patriarca da un anno, si impegnò a farlo risorgere dalle sue ceneri. Cominciò a rinnovare completamente i locali, che erano stati gravemente danneggiati dalla presenza turca; ricostituì il corpo insegnante affidando ai Benedettini della Dormizione la direzione del seminario (il suo stesso clero, ridotto dalla guerra, non poteva assumersi questo compito) e fece venire giovani seminaristi da Torino, sua città natale. Le sue iniziative non si fermarono qui: continuò a prendersi cura del suo seminario anche dopo la sua rinascita. Nel 1932, per esempio, chiamò i sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù di Betharram a sostituire i benedettini alla guida del seminario, e poi, sempre nel periodo tra le due guerre, creò un libro di cortesia ecclesiastica e un manuale di liturgia per i suoi seminaristi. Inoltre si è sempre preoccupato di visitarli regolarmente e ha dato molte lezioni in seminario.
 
Ha ripristinato la processione della Domenica delle Palme
In occasione del diciannovesimo centenario della Redenzione, Papa Pio XI proclamò un Anno Santo speciale nel 1934. Questa fu l’occasione per il vescovo Barlassina di organizzare grandi cerimonie religiose, compresa la rievocazione della processione della Domenica delle Palme da Bethpage a Gerusalemme. Portando rami di palme sopra le loro teste, i partecipanti sono saliti sul Monte degli Ulivi, hanno camminato fino alla Valle del Cedron per concludere la processione nel cortile del Seminario di Sant’Anna.
 
È stato l’ideatore di molte iniziative giovanili
Fin dai suoi primi anni di sacerdozio, Mons. Barlassina ha mostrato un genuino interesse per la formazione e la guida dei giovani. Nel 1904, fondò la “Fides et Robur”, una associazione per giovani che univa ginnastica e corsi religiosi. Ha anche creato una scuola di lingue e un coro. Più tardi, particolarmente preoccupato per la mancanza di istruzione superiore nella sua diocesi, il Patriarca ebbe l’idea di fondare un gruppo di scuole cattoliche per fornire agli studenti un’istruzione adeguata e di qualità ma questa iniziativa non ebbe felice esito: fu gradualmente abbandonata.
 
Ha passato molto tempo a scrivere
Nessuno conosce veramente i dettagli delle sue numerose lettere, alle quali il vescovo Barlassina ha dedicato molte ore. Inviava costantemente numerosi documenti, spesso in diverse lingue (perché parlava italiano, francese, inglese e tedesco), ai quattro angoli del mondo. La sua macchina da scrivere, che era spesso necessaria fin dall’all’alba ma l’accompagnava ovunque, anche nei suoi viaggi in macchina, che spesso faceva molto velocemente; il suo autista aveva sempre l’ordine di “andare più veloce”.
 
Ha fondato un’istituzione dedicata alla conversione dei non cristiani
Fondata nel 1927, la congregazione si chiamava “Les Ancelles de Notre-Dame de Palestine” fondendosi poi, nel 1936, con la Congregazione di Nostra Signora di Sion. Composta da suore di diversa provenienza, lo scopo di questa istituzione religiosa era quello di porre le basi per la conversione dei non cristiani, soprattutto per gli ebrei della Palestina quando era sotto mandato britannico. Gradualmente, la missione delle suore perse di vista il suo obiettivo primario, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965), e divenne un’istituzione dedicata al dialogo e alle relazioni ebraico-cristiane.
 
 

Un bellissimo video: la Settimana Santa a Gerusalemme

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Un recente restauro ha fatto rivivere 30 pellicole realizzate dal regista Rinaldo Dal Fabbro per la Custodia della Terra Santa a partire dal secondo dopoguerra. Segnaliamo per l’edificazione dei lettori un filmato relativo alla Settimana Santa nei Luoghi Santi. 
 
Il filmato comprende: la veglia dell’Agonia nella basilica del Getsemani; il Venerdì Santo nel refettorio del convento di San Salvatore; la processione quotidiana nella basilica del Santo Sepolcro; la Via Crucis lungo la Via Dolorosa; il funerale di Cristo al Calvario; la benedizione del pane il Lunedì dell’Angelo a Emmaus; la Messa dell’Ascensione sul Monte degli Ulivi.
 
Settimana Santa in Gerusalemme
 

Terra Santa – I santuari della Passione di Cristo

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Il Santuario della Flagellazione
 
Fra i più venerandi Luoghi che ricordano a Gerusalemme i tratti principali della Passione di Nostro Signore è da annoverarsi il Pretorio dove il divin Maestro per una inesplicabile contraddizione di Pilato, il quale, quantunque poco prima lo avesse dichiarato innocente, tuttavia sperando forse che i Giudei si sarebbero mossi a pietà alla vista di tanto sangue e ferite, assoggettò Gesù alla flagellazione, pena la più crudele e vergognosa, disonorante ed infame che s’infliggeva ai soli schiavi, giacché le verghe dei littori non percuotevano mai un uomo libero.
Nella flagellazione, il paziente, spogliato delle sue vesti veniva legato ad un tronco di colonna e sotto i colpi ripetuti dei carnefici il suo corpo si ricopriva tosto di ammaccature e di piaghe profonde.
Gesù, contro ogni sentimento di giustizia e di pietà fu condannato a questo terribile supplizio da un pagano, che, pur non avendone il minimo sentore, eseguiva a puntino le profezie riguardanti la passione del Messia.
La flagellazione sul Redentore fu eseguita dai suoi nemici più spietati onde non vi sono parole per esprimerne l’atrocità.
Non è scopo di questi brevi cenni ricordare l’antichissimo culto di questo Santuario, che insieme agli altri cadde in mano dei mussulmani e lo profanarono convertendolo in usi profani ed indecorosi.
La Custodia di Terra Santa dopo varie vicende non sempre liete riuscì finalmente a ricuperarlo, restaurandolo come le circostanze lo permettevano, ed i Religiosi per custodirlo si adattarono ad abitare alcune casupole circostanti nella speranza che in tempi più o meno lontani avrebbero potuto richiamarlo all’antico splendore. Con arditezza e tenacia necessarie a grandi opere costruirono di fronte al Santuario della Flagellazione un’elegante Chiesina per ricordare il luogo dove Gesù ricevette la sentenza di morte, erigendovi a fianco un bell’Ospizio che per silenziosa tranquillità si sarebbe potuto prestare ad infermeria per i Religiosi della Custodia o a casa di studi.
Quest’ultima idea man mano prese consistenza, e nel 1927 l’Ordine dei Frati Minori vi stabiliva il corso superiore di Scienze bibliche, che rispondendo ad una sentita necessità aggiunse un nuovo lustro alla prima missione dell’Ordine qual’è la Custodia di Terra Santa.
ll Signore benedisse il nuovo Istituto biblico per cui s’impose l’ingrandimento dell’Ospizio, sia per contenere un maggior numero di studenti sia per corredare la Scuola di una grande bilioteca e di capaci saloni per museo nei quali, con gli oggetti già esistenti, venissero raccolti altri elementi scientifici ed archeologici per la più chiara e profonda conoscenza della Sacra Scrittura del vecchio e del nuovo Testamento.
Nel 1928 s’intraprese l’ingrandimento dell’Istituto le cui linee, nella loro semplicità, danno l’impressione di grandiosità, quasi significando all’esterno la pienezza della vita intellettuale e religiosa che internamente vive la Scuola.
L’ampiamento dell’Ospizio mise in maggiore evidenza la povertà del Santuario, che, sebbene devoto, tuttavia mostrava al vivo il misero suo stato cui l’avevano ridotto il tempo e i vari restauri e decorazioni di uomini non sempre felici nelle loro produzioni artistiche.
 
Com’era il Santuario
La “Terra Santa” nel suo numero d’Aprile del 1930 riepiloga così le miserevoli condizioni del Santuario « I conci sfaldati di una porta ottocentesca sormontata da ovale, tagliavano una miseranda cortina di muro senza contorni che formava tutta la facciata. Sul fianco a settentrione pezze e speroni sovrapposti alla rinfusa non riuscivano a dare un’impressione di solidità, mentre sul lato opposto verso la strada, lesene e cornici pretenziosette attestavano un restauro di cui era traccia anche nelle rovine di un chiostro dietro l’abside.
« Nell’interno era passato l’ottocento ad imbavagliare i ricordi crociati che s’intuivano più che non si vedessero; e più di recente il pennello inesorabile di un pittore imbianchino che aveva mascherato ogni cosa coi suoi finti marmi e con le pallide stelle sopra un cielo incolore. Giova non ripensare alle pitture e cornici di un dozzinale barocco elevato su i quattro altari minori di marmi policromi, e nemmeno all’arco ribassato che schiacciava l’altare maggiore senza nascondere la divergenza dell’asse dell’ambiente in quel punto. Muri e paviménto trasudavano umidità e salnitro ».
 
La restaurazione del Santuario
Se era facile constatare l’assoluta necessità di dare un assetto di assoluta stabilità e decoro al Santuario, soddisfacendo altresì all’esigenza del culto che avrebbe preso maggiore intensità per l’aumentato numero dei Religiosi, non era altrettanto facile trovarne la soluzione, che conservando l’integrità del Santuario lo rendesse degno di tal nome. Quello che accade ovunque si verifica, specialmente nel Paese di Gesù, ove ognuno e persino qualsiasi nuovo arrivato, si erige ad archeologo ed architetto o quanto meno si abbandona a critiche che bene spesso hanno per fondamento la propria incompetenza, o il paragone di un confuso ricordo di qualche costruzione del paese da cui viene (la frase si riferisce alle polemiche dell’epoca tra la Custodia e alcune congregazioni francesi, ndr).
A questa difficoltà si aggiungeva la modestia dei mezzi disponibili giacché col restauro del Santuario era annesso l’altro delle circostanti rovine e specialmente quello della cosidetta Casa d’Erode la quale con notevoli elementi ricordava un’epoca gloriosa di memorie storiche e care.
A sciogliere il non facile problema, la Custodia di Terra Santa diede l’incarico all’Architetto Ing. Antonio Barluzzi, che nella costruzione delle due mirabili Basiliche del Getsemani e del Tabor aveva trasfusa tutta la sua anima di profondo credente e di artista geniale e fecondo. E come dimostrò il restauro compiuto, ben si appose la Custodia, sicura che l’Architetto avrebbe portato ancora in questa nuova opera l’entusiasmo del suo spirito e della sua abnegazione, innestando ai pochi ricordi antichi una decorosa modernità artistico-religiosa che in pieno secolo XX sapesse disposarsi all’epoca crociata. L’impresa dei lavori venne affidata alla nuova Ditta costruttrice E. di A. De Farro, che lasciata da parte ogni idea di guadagno ancora onesto, si propose di cooperare per la riuscita di una restaurazione degna del celebre Santuario e ne affidò l’esecuzione all’Ing. Ruggero Bucciasuti che, coadiuvato dall’Assistente Filippi, penetrò il pensiero dell’Architetto, e fra mille difficoltà d’ogni genere, sciolte con rare abilità, assolse il mandato con rara intelligenza, con severa onestà condita da squisitezza di maniere.
 
I lavori e le decorazioni
Qui cediamo la parola al valoroso articolista de “La Terra Santa”. I restauri furono radicali tranne nei muri di fianco che per leggi edilizie non potevano spostarsi a favore delle umili dimensioni del Santuario, e che in certo modo ne attestavano la storia centenaria. Raschiando pitture e intonaci comparve nei pilastri e in alcuni archi e cornici l’apparecchio crociato, mentre sotto l’altare maggiore si rinvenivano le fondazioni dell’abside semicircolare. Spontanea fu l’idea di ricostruire secondo lo stile del XII secolo; ma, avendo le crociere in rovina dato luogo a volte lunettate, essendo necessario avere un presbiterio più ampio e un coro pei Religiosi, e adattarsi alle sensibili irregolarità di ogni elemento decorativo, quello stile fu seguito con una certa libertà.
La nuova facciata ci presenta quindi, entro il portale dai caratteristici conci crociati a cuscinetto e un fregio a motivo di spine, una bella porta del Gerardi, un pò delicata pur nella sua inquadratura di ferro battuto che racchiude lacunari di rame elegantemente sbalzato e graffitto coi simboli della Passione, con quelli degli Evangelisti e coi versetti che si riferiscono al Santuario. In alto, sotto un timpano a lieve pendenza, si svolge una serie di archetti poggiati su mensole di quel tipo medievale che fonde elementi crociati e saraceni, e che nel centro si apre ad arco più ampio a cingere un devoto angelo di bronzo, invitante a preghiera, dell’artista Mastroianni. Dal cortile d’ingresso può vedersi anche il fastigio del campanile lieto e sereno nella sua semplicità.
All’interno il rustico apparecchio murario fu rivestito di marmi fino all’imposta degli archi: questi lasciati in vista e in parte rifatti: le volte scarnite per ridurle a crociere, lasciate, schiette d’intonaco dal color giallo ocra dovuto alla sabbia di Ramleh: sostituiti con veri i falsi colonnini avanti ai pilastri che sorreggono gli archi, e i capitelli posticci e inadatti per dimensione e per stile rinnovati secondo un campione dell’epoca. Quattro altari laterali nobilmente modesti col cippo di pietra bianco-avorio ornato di medaglione a colore, con gradino sostenuto da mensole, sono completati da tele ogivali con figure a fóndo oro, a imitazione delle tavole trecentesche, opera del Barberis, che rappresentano la Madonna e il Discepolo prediletto, presenti di persona o di spirito ai tormenti del loro Gesù: S. Paolo che nel medesimo Pretorio si voleva fustigare: e S. Francesco che fu onorato dalle stimmate della Passione, e per mezzo dei suoi Figli conservò alla cristianità i santuari che la ricordano.
Al termine delle tre crociere, là ove s’incurvava l’arco ribassato sopra l’altare maggiore, demolite completamente le strutture del secolo, si eleva al presente su quattro arcate, simili a quelle della nave, una volta a vela, a guisa di ricco baldacchino steso sopra l’altare, ricamato in mosaico con serto spinoso che germoglia in alto ramoscelli fioriti, e in basso sparge petali misti a goccie di sangue; e intanto tralucono quiete fra le spine sedici stelle dalle tenui tinte dell’alba, e un’ultima più grande, scintilla nel mezzo riassumendo luci e colori. Così, le spine della sofferenza accettate in ispirito di amore e purificazione, si trasformano in corona di gemme preziose agli occhi di Dio, pei meriti delle sofferenze di Gesù. L’altare, elevato sopra tre gradini, ha proporzioni adatte a far dimenticare la piccolezza dell’ambiente; il paliotto di pietra bianco-avorio porta pannelli di un delicatissimo viola antico arabescato, fornito dalle cave fra Betlemme e il Mar Morto, e ha nel centro un medaglione rotondo ove su lastra di rame è dipinto Cristo alla colonna. Quest’opera di artista napoletano del secolo scorso fu tolta come ricordo dall’altra preesistente, dono di Napoli devota. Anche il tabernacolo è in pietra del paese che fonde in armonia inimitabile il viola al marrone, al verde, al bianco, al giallo, e si apre a sesto ogivale sopra un minuscolo vestibolo che mostra sul fondo il ciborio in pietra rosso-granato, su cui spicca l’aurea portina che sarà sormontata dalla corona di Cristo, Re dei Popoli e Re dei cuori. Infine un tronetto ogivale di sapore arcaico lancia la sua cuspide in alto fra candelieri di bronzo oscuro che accennano agli albori dello stil nuovo mentre si libera dalla crudezza delle sagome forgiate nel ferro: questi candelieri sono dono della Ditta Laganà di Napoli.
Intorno all’altare pietre squadrate e liste di nero del Mar Morto incorniciano un elegante e severo tappeto di mosaico a sottili disegni bianchi su fondo nero con tocchi di rosso-corallo e viola e verdi forniti anch’essi dalle cave locali; e questo tappeto continua poi come guida nel centro della nave fino alla porta d’ingresso. Si direbbe che la balaustra dell’altare è quasi trasparente nell’intreccio lieve di archi e quadrilobi, sicché non spezza l’unità del piccolo ambiente e lascia libera la vista sul presbiterio; fu eseguita insieme alle griglie dorate del coretto nelle officine di S. Salvatore su disegni dell’architetto.
Ma chi entra nel Santuario non vede da principio le cose fin qui descritte. Attraverso la penombra della nave tre quadri luminosi, fatti come di gemme variamente scintillanti e colorate, l’affàscinano e ne trasportano lo spirito al di là del reale, nell’oblìo delle brevi pareti che lo circondano. Una sorpresa ed una meraviglia. Tre delle arcate a sostegno della volta del presbiterio sono chiuse da preziose vetrate.
Nel centro Cristo alla colonna: « Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum ut testimonium perhibeam veritati: Omnis qui est ex veritate audit vocem meam ». (Ioa., XVIII). Il mondo invece ama la menzogna che giustifica o esalta il peccato, e tura la bocca della Verità con ceffoni e con sputi, cioè con la sudicia calunnia; la temuta Verità vuol flagellata a sangue. Il Maligno ride nel riso beffardo e saettante odio dei suoi umani satelliti, e Cristo-Verità, legato alla colonna, folgora di luce e leva i grandi occhi al Cielo, testimone della sua missione e del suo strazio ineffabile. Anime pie vedrebbero forse volentieri un lampo di dolce bontà su quel Volto virile che il taglio secco delle sagome vetrose rende un po’ duro; ma quale potenza divina è in quell’atteggiamento di supremo dolore ! E i toni cupi del colore commentano le basse passioni degli implacabili carnefici.
A sinistra di chi guarda, la scena di Pilato: « Quid est veritas? » E poi l’uomo di mondo non si cura di avere risposta: curiosità superficiale, direi accademica, che non indaga il fondo delle cose. La Verità è insieme giustizia, pretende da chi la vuol possedere, un amore capace di sacrificare per lei ogni cosa; e il ricco, il potente, può sacrificare ad essa i benefici e i comodi della sua alta posizione sociale? Tentenna, si contradice, e infine vince la codardia; e pur proclamando Giusto il Cristo, (nel nome di Roma, e cioè a tenore di legge), lo abbandona alla sua morte; per un ultimo briciolo di rimorso, a far intendere il suo pensiero, si lava le mani con vana ipocrisia al cospetto della folla: « Innocens ego sum a sanguine justi hujus » (Matt., XXVII). La scena ha toni armoniosi, fosforescenze delicate; Pilato in tunica gialla e bellissimo paludamento lilla ha la caratteristica sagoma romana, e l’obesità del grave personaggio. È attorniato da littori e soldati, alteri e composti nell’assistere il magistrato in giudizio.
A destra la vetrata di Barabba, portato in trionfo dai suoi satelliti e liberatori, personificazione del Male e antitesi del Cristo. La Verità è odiata e maledetta dalla passione cattiva, dalla malvagità, dall’incoscienza, dall’abbiezione, come la luce delle tenebre; nella lotta senza quartiere la Verità è straziata e crocifissa. Qui la rappresentazione del Male raggiunge effetti di così profonda efficacia da toccare i fastigi del capolavoro: e tanto ripugnanti e macabre nelle varie espressioni sono le faccie luride e schiumose di quei manigoldi, ebbri di schiamazzo e di mala gioia, che pare assistere ad una scena d’inferno. La pelle arsiccia e gli stracci che li rivestono hanno toni cupi e violenti, animati qua e là da luminosità ardite e vibranti. La linea e il colore concorrono mirabilmente a dare un’emozione viva nel disgusto del male. Artefici di queste originali e mirabili visioni sono due artisti romani, Duilio Cambellotti e Cesare Picchiarini. « Fanno onore a Dio, all’arte, all’Italia » disse S. E. il ministro Fedele nel vedere le vetrate prima che partissero per Gerusalemme. Il primo fu l’ideatore e il disegnatore potente, l’altro il realizzatore, dotato di prodigiosa sensibilità pittorica per la quale si è reso in lunghi anni di studio e di prove, padrone di una tecnica difficilissima, vincendo una nobile battaglia contro l’industrialismo che aveva fatto decadere miserabilmente l’arte della vetrata. È giustizia riconoscere che ambedue nel dare il frutto della loro maturità artistica hanno offerto insieme al Santuario di Gesù tutto l’ardore dell’anima infiammata dalla bellezza vera, e la generosità dell’artista autentico che non misura la sua fatica sul modesto compenso materiale pattuito. Altri compensi essi avranno nel loro intimo da Chi fornì loro l’ispirazione e la lena, perchè la pietà pel Cristo flagellato, lo sdegno pel calcolo vile dell’interesse mondano e la ripugnanza per il peccato che destano le tre vetrate non potrebbero sussistere nè commuovere se prima gli artisti non avessero intensamente vissuti quei sentimenti: ed anche perchè questo effetto sul popolo fedele, corrisponde alle più pure idealità di un arte del bello, che è insieme missione santa di bene.
 
La Custodia di Terra Santa col restauro completo e definitivo di questo Santuario, la cui importanza religiosa è in ragione inversa delle sue dimensioni, offre al mondo cattolico una novella prova della serietà di propositi con cui attende alla conservazione e al decoro dei Luoghi Santi. E la felice trovata architettonica, prova da parte sua come si possano, quando amore guida, risolvere degnamente interessanti problemi artistici e religiosi con spese relativamente modeste e fabbriche di piccole proporzioni, così come era già avvenuto nell’epoca crociata. Perchè è da notare che la pietà dei fedeli trova in modo precipuo il suo alimento essenziale in ambiente predisposto con illuminato equilibrio a mettere in valore i ricordi della Passione e soddisfare alle esigenze del culto, senza cadere in esagerazioni ed eccessi che moltiplicherebbero le dimensioni e il numero dei Santuari col risultato di sviare e danneggiare la pietà stessa (ancora polemiche con chi voleva edificare nei Luoghi Santi delle chiese non sempre legate a fatti evangelici, basandosi su ipotesi archeologiche inconsistenti, ndr). Nel nostro caso l’architettura è riuscita a dare una certa impressione di ampiezza ad un minuscolo ambiente che misura appena cinque metri e mezzo di larghezza fra le faccie dei pilastri, meno del doppio in lunghezza, e si apre sopra un presbiterio quadrato che non raggiunge i sette metri di lato; ha mantenuto i quattro altari laterali richiesti dalla numerosa Comunità senza ingombro della nave e con effetto sobrio e dignitoso come conveniva a elementi di secondaria importanza; ha realizzato infine, e specialmente ad opera delle vetrate, una decorazione altamente significativa, che è buon commento al mistero doloroso, atto a facilitare agli umili lo slancio spontaneo della pietà, e a suggerire alle persone più colte la meditazione profonda del dramma divino-umano del Pretorio, che si perpetua nei secoli per le umane passioni mai domate, e per l’attualità perenne — perchè divina — della Passione del Cristo.
Il Santuario fu benedetto il Lunedì Santo 14 Aprile 1930 fra l’ammirazione devota degl’intelligenti, e un valoroso archeologo palestinese, che alla scienza congiunge una pietà profonda, nell’accomiatarsi, disse di ritornarvi spesso per pregarvi avendo intesa forte suggestione dal Santuario.
 
Tratto da: Almanacco di Terra Santa, Tipografia dei Padri Francescani, Gerusalemme, 1931, pagg. 27-34.
 

Monte degli Ulivi: arriva (per il momento) il “contrordine compagni”

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Seguito del comunicato del 20/2/2022: La presenza cristiana sul Monte degli Ulivi nel mirino degli ebrei https://www.centrostudifederici.org/terra-santa-la-presenza-cristiana-sul-monte-degli-ulivi-nel-mirino-degli-ebrei/
Le proteste ufficiali delle “chiese cristiane” per il progetto di giudaizzare il Monte degli Ulivi hanno provocato l’annuncio, da parte del governo israeliano, della sua (momentanea) sospensione. 
Il documento di protesta era stato inoltrato anche ai Consolati di Gerusalemme (la sede delle Ambasciate è a Tel Aviv, tranne quelle degli Usa, del Guatemala e del Cossovo che sono a Gerusalemme), che evidentemente hanno fatto pressione sul governo (si tratta di diplomatici di carriera e non bibitari imprestati alla politica). 
La situazione rimane precaria e il progetto in questione è congelato e non cancellato. Tuttavia ancora una volta il governo ha dovuto fare i conti con chi “de facto” rappresenta gli interessi materiali dei cristiani in Terra Santa. Nel 2018, ad esempio, il tentativo di un’elevata tassazione da parte della municipalità di Gerusalemme dei beni cristiani fu bloccato dalle vibranti proteste degli interessati, che portarono alla chiusura per qualche giorno della basilica del Santo Sepolcro. Il governo intervenne allora presso il sindaco di Gerusalemme.
 
Un parco sul Monte degli Ulivi, dietro front israeliano
L’Autorità israeliana per i Parchi e la Natura rinuncia ad espandere il Parco nazionale delle mura di Gerusalemme dopo la ferma protesta dei capi delle Chiese che denunciano ben altri interessi in gioco.
 
L’Autorità israeliana per la Natura e i Parchi quest’oggi (21 febbraio 2022) ha annunciato di non volere dare attuazione al progetto di ampliare il Parco delle Mura di Gerusalemme, espandendone i confini fino alle pendici del Monte degli Ulivi. Si tratta di un ripiegamento (temporaneo?) dovuto alla ferma protesta indirizzata alla ministra per l’Ambiente israeliana Tamar Zandberg il 18 febbraio scorso dal patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Theophilos III, dal custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, e dal patriarca armeno di Gerusalemme, Nourhan Manougian (tutte cariche da mettere tra virgolette, ndr).
Del progetto di ampliamento si parla da tempo, ma nei giorni scorsi era filtrata l’intenzione di presentarlo il prossimo 2 marzo alla Commissione di pianificazione urbanistica della municipalità di Gerusalemme per un via libera preliminare.
Il Parco si estenderebbe anche su terreni, immobili e santuari di proprietà delle varie Chiese, in un’area molto cara ai pellegrini cristiani di tutto il mondo e ciò ha indotto le tre autorità ecclesiastiche a reagire.
«Si tratta – hanno scritto senza mezzi termini i firmatari della lettera – di un provvedimento brutale che costituisce un attacco diretto e premeditato contro i cristiani di Terra Santa e contro le Chiese e i loro antichi diritti, internazionalmente garantiti, nella Città Santa». La lettera alla ministra è rimbalzata sui media israeliani e il quotidiano digitale The Times of Israel l’ha riprodotta integralmente il 20 febbraio (clicca qui per leggere la lettera in formato pdf).
Per dare maggior peso al loro intervento, il custode francescano di Terra Santa e i due patriarchi hanno inoltrato una copia per conoscenza della missiva anche ai consoli generali a Gerusalemme di Francia, Turchia, Italia, Grecia, Spagna, Regno Unito, Belgio e Svezia, nonché al rappresentante pontificio, il nunzio Adolfo Tito Yllana.
Il Monte degli Ulivi parco nazionale israeliano?
È vero che sulle pendici occidentali del monte c’è un cimitero ebraico in uso da oltre tremila anni, ma il rilievo è anche uno dei luoghi più sacri della cristianità. Quello che fu scenario di eventi importanti della vita di Gesù ospita una dozzina di santuari e luoghi di culto cristiani che, in assenza di restrizioni imposte dalla pandemia, «sono visitati ogni anno da milioni di pellegrini», ricordano i capi delle Chiese. Altre porzioni della montagna interessate dal progettato ampliamento – che includerebbe anche parti della valle del Cedron e della valle di Ben Hinnom (Geenna) – appartengono a proprietari privati palestinesi.
L’Autorità per la Natura e i Parchi afferma che il suo progetto mira a preservare il paesaggio naturale e culturale di quelle aree e non comprometterebbe le proprietà ecclesiastiche eventualmente incorporate nel parco nazionale. I media israeliani osservano però che le autorità israeliane si garantirebbero così la possibilità di un’ampia gamma di azioni, tra cui la realizzazione di sopralluoghi, il rilascio di autorizzazioni per lavori e progetti di valorizzazione, restauro e conservazione.
«Obiezione inequivocabile» delle Chiese
I tre firmatari della lettera congiunta hanno espresso la «più profonda preoccupazione», insieme ad un’«inequivocabile obiezione» al piano di ampliamento del Parco delle mura.
E si rammaricano che l’Autorità per i Parchi «giochi un ruolo ostile nei confronti delle Chiese e della presenza cristiana in Terra Santa», prestandosi ad interessi altrui. «Con il pretesto di proteggere gli spazi verdi, il piano sembra servire a un’agenda ideologica che nega lo status e i diritti dei cristiani a Gerusalemme», hanno osservato gli ecclesiastici nella loro lettera, nella quale aggiungono: «Benché il progetto sia presentato ufficialmente dall’INPA [l’acronimo che indica l’Autorità – ndr], sembra che sia stato proposto e orchestrato, avanzato e promosso da entità il cui unico scopo apparente è confiscare e nazionalizzare uno dei luoghi più sacri per la cristianità e alterarne la natura».
Un’agenda ideologica
Il riferimento diretto è a quei gruppi nazionalisti che stanno lavorando per aumentare la presenza di residenti ebrei nei quartieri di Gerusalemme Est e soprattutto nelle aree cristiane della città vecchia di Gerusalemme. Manovre che i capi delle Chiese di Terra Santa hanno già denunciato anche in una dichiarazione comune dello scorso dicembre.
Più in generale, questi gruppi mirano a ridurre la presenza di non ebrei a Gerusalemme Est, come sta accadendo nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan a nord e a sud della città vecchia. In una dichiarazione congiunta rilasciata a The Times of Israel, le organizzazioni per i diritti umani Bimkom, Emek Shaveh, Ir Amim e Peace Now si sono affrettate a sottolineare che «c’è un collegamento diretto tra ciò che è in corso a Sheikh Jarrah e questo piano di ampliamento dell’INPA».
Il Parco nazionale in questione è stato inaugurato negli anni Settanta. Attornia le mura di Gerusalemme vecchia – senza includerle – e la città di David (nel quartiere a maggioranza araba di Silwan). Quando se ne tracciarono i confini, «si evitò accuratamente di includere gran parte del Monte degli Ulivi», riporta The Times of Israel. Le autorità contemplarono una «fase due» per espandere il parco nazionale, ma poi decisero di soprassedere in considerazione del carattere sensibile dei terreni che si andava ad incorporare. A distanza di mezzo secolo la «fase due» torna all’ordine del giorno.
Oggi riferisce, il quotidiano Haaretz, il parco si estende per poco meno di 110 ettari. Il progettato ampiamento dei confini ne aggiungerebbe altri 27.
 
 

Così morirono i crociati a Sidone

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Recenti analisi su scheletri rinvenuti a Sidone, in Libano, ci aiutano a comprendere meglio i crociati caduti nel XIII secolo per difendere la città. Il ruolo del re san Luigi nella loro sepoltura.
 
Uccisi a colpi di spada o d’ascia, decapitati, massacrati in massa, crivellati di frecce. Il destino dei crociati che combatterono per difendere Sidone, l’odierna Saida a sud di Beirut, a metà del XIII secolo fu senza dubbio qualcosa di brutale. Lo evidenziano i ricercatori dell’Università di Bournemouth, nel Regno Unito, in un comunicato stampa diffuso il 14 settembre per sintetizzare uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, con altri due ricercatori britannici.
 
L’équipe ha analizzato gli scheletri umani rinvenuti nel 2015 in due fosse comuni trovate nel fossato del castello di San Luigi (Qalat al-Muizz) a Sidone, porto strategico per i crociati per oltre un secolo. In piena guerra, mancando il tempo per officiare un rito funebre per ogni singolo crociato caduto, fu d’obbligo il ricorso alla fossa comune.
 
In base alla presenza nelle sepolture di monete d’argento della metà del XIII secolo e di fibbie in rame per cinture di foggia franca i resti umani oggetto dello studio sono stati identificati come appartenenti ad almeno 25 crociati.
 
Usando la datazione al radiocarbonio, i ricercatori stimano che i soldati probabilmente morirono nelle battaglie del 1253 o del 1260, quando Sidone, controllata dai cristiani, fu attaccata direttamente dalle truppe del sultanato mamelucco, nel 1253, e dai mongoli dell’Ilkhanato, nel 1260.
 
In armi con una violenza estrema
 
La scoperta è davvero rara, sottolineano i ricercatori perché le fosse comuni di questo periodo sono piuttosto introvabili. «Il numero minimo di 25 individui supera significativamente quello dell’unico altro luogo di sepoltura comune a noi noto d’epoca crociata», affermano gli autori dello studio, riferendosi agli scheletri di cinque uomini caduti al Guado di Giacobbe, situato tra l’Alta Galilea e le alture del Golan, che, il 23 agosto 1179, si scontrarono l’esercito ayyubide guidato da Saladino e le milizie del Regno di Gerusalemme.
 
Dopo aver analizzato gli scheletri di Sidone, gli esperti hanno raggiunto un’altra conclusione: appartenevano a uomini fatti e ad adolescenti. Quindi non c’erano donne o bambini sul campo di battaglia.
 
Alcuni degli scheletri «mostrano ferite di spada alla parte posteriore del corpo, suggerendo che i soldati siano stati attaccati da dietro, probabilmente in fuga nel momento in cui sono stati colpiti. Altri hanno ferite di spada alla nuca, il che indica che potrebbero essere stati prigionieri giustiziati per decapitazione dopo la battaglia», riassume il comunicato dell’Università di Bournemouth.
 
I segni rimasti sugli scheletri dimostrano quanto sia stato brutale il combattimento. La concentrazione di ferite alla testa e alle spalle di alcuni soldati sarebbe «coerente» con il fatto che probabilmente fronteggiavano a piedi dei nemici a cavallo.
 
Il contributo del re
 
L’analisi degli isotopi dentali e gli studi sul Dna hanno consentito anche di individuare le origini geografiche dei soldati. Alcuni erano nati in Europa, altri nel Vicino Oriente. Taluni erano di discendenza mista, probabilmente discendenti di crociati che si erano accoppiati con donne locali. Dati coerenti con la composizione sociale delle truppe crociati descritta dalle fonti storiche.
 
Secondo i documenti storici, Luigi IX di Francia, il sovrano – poi dichiarato santo – che guidò la settima crociata, era presente in Terra Santa al momento dell’attacco a Sidone nel 1253. Il re «andò in città dopo la battaglia e aiutò personalmente a seppellire i cadaveri in decomposizione in fosse comuni come queste», spiega nel comunicato del già citato ateneo britannico il dottor Piers Mitchell, dell’Università di Cambridge, che ha collaborato allo studio.
 
Le cronache di Jean de Joinville, cavaliere francese e biografo di san Luigi nonché testimone oculare della Settima crociata, riportano che «Egli (il re – ndr) aveva portato personalmente i corpi, tutti marci e maleodoranti, per deporli nelle fosse, senza mai turarsi il naso, come facevano gli altri». (c.l.)
 
 

Tremila bambini palestinesi uccisi da Israele dalla Seconda Intifada

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Segnalazione di Redazione Il Faro sul Mondo

di Yahya Sorbello

Il ministero dell’Informazione palestinese ha sottolineato la brutale violenza contro i bambini palestinesi da parte dell’esercito israeliano, affermando che più di tremila minori hanno perso la vita per mano delle truppe israeliane dalla Seconda Intifada.

Il ministero ha affermato in una dichiarazione che almeno 3.100 bambini palestinesi sono stati uccisi, mentre decine di migliaia hanno riportato ferite dall’inizio della Seconda Intifada, scoppiata il 28 settembre 2000 contro l’occupazione del territorio palestinese da parte del regime di Tel Aviv.

La dichiarazione riporta che 123 minori palestinesi sono stati uccisi e molti altri feriti da quando l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha riconosciuto ufficialmente Gerusalemme come capitale israeliana nel dicembre 2017. Più di 17mila bambini palestinesi sono stati arrestati durante questo periodo.

Secondo le statistiche del Palestinian Prisoners Club e dell’Autorità palestinese per gli affari dei prigionieri, le forze israeliane hanno arrestato oltre 300 bambini tra l’inizio dell’anno in corso. Il numero di minori palestinesi attualmente detenuti nelle carceri israeliane è di 155.

Settemila bambini palestinesi arrestati dal 2015

Più di settemila bambini palestinesi sono stati arrestati dalle autorità israeliane dal 2015 e alcuni sono stati condannati a dieci anni di prigione o all’ergastolo, ha affermato la Palestinian Prisoners ‘Society (Ppd) in una dichiarazione rilasciata alla stampa. La società ha sottolineato che la maggior parte dei bambini detenuti proviene da Gerusalemme.

Il Pps ha invitato le istituzioni internazionali per i diritti umani, e in particolare il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), a compiere seri sforzi per proteggere i bambini palestinesi e ad obbligare le autorità israeliane a rispettare una serie di accordi sulla protezione dei bambini detenuti.

Più di settemila prigionieri palestinesi sono attualmente detenuti in circa 17 carceri israeliane, dozzine di loro stanno scontando condanne all’ergastolo.

di Yahya Sorbello

Fonte: https://ilfarosulmondo.it/tremila-bambini-palestinesi-uccisi-israele-seconda-intifada/

Pio XII e il carattere internazionale di Gerusalemme

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“La persuasione dell’opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari” (Pio XII).
 
Enciclica “In Multiplicibus Curis” di Pio XII
Nuove pubbliche preghiere per la pacificazione della Palestina. 
 
Tra le molteplici preoccupazioni che Ci assillano in questo periodo di tempo tanto pieno di conseguenze decisive per la vita della grande famiglia umana e che Ci fanno sentire così grave il peso del supremo pontificato, occupa un posto particolare quella che Ci è causata dalla guerra che sconvolge la Palestina. In piena verità possiamo dirvi, venerabili fratelli, che né lieta né triste vicenda riesce ad attenuare il dolore mantenuto vivo nel Nostro animo dal pensiero che sulla terra su cui il Signore nostro Gesù Cristo versò il suo sangue per apportare a tutta quanta l’umanità la redenzione e la salvezza, continua a scorrere il sangue degli uomini; che sotto i cieli nei quali echeggiò nella fatidica notte l’evangelico annunzio di pace si continua a combattere, si accresce la miseria dei miseri e il terrore degli atterriti, mentre migliaia di profughi, smarriti e incalzati, vagano lontano dalla patria in cerca di un ricovero e di un pane. 
A rendere più cocente questo Nostro dolore contribuiscono non solo le notizie che continuamente Ci giungono di distruzioni e di danni causati agli edifici sacri e di beneficenza sorti attorno ai luoghi santi, ma anche il timore ch’esse Ci ispirano per la sorte di questi stessi luoghi, disseminati in tutta la Palestina e in maggior numero sul suolo della città santa, che furono santificati dalla nascita, dalla vita e dalla morte del Salvatore. Non è necessario assicurarvi, venerabili fratelli, che posti in mezzo allo spettacolo di tanti mali e alla previsione di mali maggiori, Noi non Ci siamo rinchiusi nel Nostro dolore, ma abbiamo fatto quanto era in Nostro potere per cercare di apportarvi rimedio. 
Parlando, prima ancora che il conflitto armato avesse inizio, a una delegazione di notabili arabi venuta a renderCi omaggio, manifestammo la Nostra viva sollecitudine per la pace in Palestina e, condannando ogni ricorso ad atti violenti, dichiarammo che essa non poteva realizzarsi se non nella verità e nella giustizia, cioè nel rispetto dei diritti di ognuno, delle tradizioni acquisite, specialmente nel campo religioso, come pure nello stretto adempimento dei doveri e degli obblighi di ciascun gruppo di abitanti. Dichiarata la guerra, senza discostarCi dall’attitudine di imparzialità impostaCi dal Nostro ministero apostolico che Ci colloca al di sopra dei conflitti dai quali è agitata la società umana, non mancammo di adoperarci, nella misura che dipendeva da Noi e secondo le possibilità che si sono offerte, per il trionfo della giustizia e della pace in Palestina e per il rispetto e la tutela dei luoghi santi. 
Nel tempo stesso, sollecitati dai numerosi e urgenti appelli quotidianamente rivolti a questa sede apostolica, abbiamo cercato di venire per quanto possibile in soccorso delle infelici vittime della guerra, inviando a tal fine ai Nostri rappresentanti in Palestina, nel Libano e in Egitto i mezzi a Nostra disposizione, e incoraggiando il sorgere e l’affermarsi, tra i cattolici nei vari paesi, di iniziative tendenti allo stesso scopo. Convinti, peraltro, della insufficienza dei mezzi umani per l’adeguata soluzione di una questione di cui tutti possono vedere l’eccezionale complessità, abbiamo soprattutto fatto costantemente ricorso al grande mezzo della preghiera, e nella Nostra recente lettera enciclica Auspicia quaedam vi invitammo, venerabili fratelli, a pregare e a far pregare i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale, affinché, sotto gli auspici della Vergine santissima, «conciliate le cose nella giustizia, ritornassero felicemente in Palestina la concordia e la pace».(2) 
Sappiamo che il Nostro invito non vi è stato rivolto invano. Né ignoriamo che, mentre con le Nostre suppliche e con la Nostra opera Ci adoperavamo in unione con il mondo cattolico per la pace in Palestina, uomini di buona volontà hanno moltiplicato nello stesso intento, senza badare a pericoli e sacrifici, nobili sforzi ai quali Ci è grato rendere omaggio. Tuttavia, il perdurare del conflitto e l’accrescersi ininterrotto delle rovine morali e materiali che inesorabilmente lo accompagnano, Ci inducono a rinnovarvi, venerabili fratelli, con accresciuta insistenza il Nostro invito, nella speranza che esso venga accolto non solo da voi, ma anche da tutto il mondo cristiano. 
Come dichiarammo il 2 giugno scorso ai membri del sacro collegio dei cardinali, mettendoli a parte delle Nostre ansietà per la Palestina, Noi non crediamo che il mondo cristiano potrebbe contemplare indifferente o in una sterile indignazione quella terra sacra, alla quale ognuno si accostava col più profondo rispetto per baciarla col più ardente amore, calpestata ancora da truppe in guerra e colpita da bombardamenti aerei; non crediamo che esso potrebbe lasciar consumare la devastazione dei luoghi santi, sconvolgere il sepolcro di Gesù Cristo. Siamo pieni di fiducia che le fervide suppliche che si innalzano a Dio onnipotente e misericordioso dai cristiani sparsi nel vasto mondo, insieme con le aspirazioni di tanti nobili cuori ardentemente solleciti del vero e del bene, possano rendere meno arduo agli uomini che reggono i destini dei popoli il compito di far sì che la giustizia e la pace in Palestina divengano una benefica realtà e, con l’efficace cooperazione di tutti gli interessati, si crei un ordine che garantisca a ciascuna delle parti al presente in conflitto, la sicurezza dell’esistenza e insieme condizioni fisiche e morali di vita capaci di fondare normalmente uno stato di benessere spirituale e materiale. 
Siamo pieni di fiducia che queste suppliche e queste aspirazioni indice del valore che ai luoghi santi annette così gran parte della famiglia umana, rafforzino negli alti consessi, nei quali si discutono i problemi della pace, la persuasione dell’opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari. Così pure occorrerà assicurare con garanzie internazionali sia il libero accesso ai luoghi santi disseminati nella Palestina, sia la libertà di culto e il rispetto dei costumi e delle tradizioni religiose. 
E possa così sorgere presto il giorno in cui gli uomini abbiano di nuovo la possibilità di accorrere in pio pellegrinaggio ai luoghi santi per ritrovare svelato in quei monumenti viventi dell’Amore, che si sublima nel sacrificio della vita per i fratelli, il grande segreto della pacifica convivenza umana. Con questa fiducia, Noi impartiamo di cuore a voi, venerabili fratelli, ai vostri fedeli e a tutti coloro che accoglieranno con animo volonteroso questo Nostro appello, in auspicio dei divini favori e come pegno della Nostra benevolenza, l’apostolica benedizione. 
Castel Gandolfo, presso Roma, 24 ottobre 1948, anno X del Nostro pontificato. 
 
PIO PP. XII 
 

La Madonna del Carmelo, che promette la salvezza a chiunque si farà «suo»

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Risultati immagini per La Vergine del Carmelodi Cristina Siccardi 

Il 16 luglio ricorre una festa mariana molto importante nella Tradizione della Chiesa: la Madonna del Carmelo, una delle devozioni più antiche e più amate dalla cristianità, legata alla storia e ai valori spirituali dell’Ordine dei frati della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (Carmelitani). La festa liturgica fu istituita per commemorare l’apparizione del 16 luglio 1251 a san Simone Stock, all’epoca priore generale dell’ordine carmelitano, durante la quale la Madonna gli consegnò uno scapolare (dal latino scapula, spalla) in tessuto, rivelandogli notevoli privilegi connessi al suo culto.

Nel Primo Libro dei Re dell’Antico Testamento si racconta che il profeta Elia, che raccolse una comunità di uomini proprio sul monte Carmelo (in aramaico «giardino»), operò in difesa della purezza della fede in Dio, vincendo una sfida contro i sacerdoti del dio Baal. Qui, in seguito, si stabilirono delle comunità monastiche cristiane. I crociati, nell’XI secolo, trovarono in questo luogo dei religiosi, probabilmente di rito maronita, che si definivano eredi dei discepoli del profeta Elia e seguivano la regola di san Basilio. Nel 1154 circa si ritirò sul monte il nobile francese Bertoldo, giunto in Palestina con il cugino Aimerio di Limoges, patriarca di Antiochia, e venne deciso di riunire gli eremiti a vita cenobitica. I religiosi edificarono una chiesetta in mezzo alle loro celle, dedicandola alla Vergine e presero il nome di Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo. Il Carmelo acquisì, in tal modo, i suoi due elementi caratterizzanti: il riferimento ad Elia ed il legame a Maria Santissima. Continua a leggere

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