Stranezze del 7/10: “soffiata” alla Borsa e filmati di sicurezza spariti

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Segnalazione del Centro Studi Federici
“Significative vendite allo scoperto prima del 7/10 di decine di società quotate nella Borsa di Tel Aviv”. Spariti i filmati dalle telecamere di sicurezza al confine con Gaza. L’AI “fabbrica obiettivi” e calcola gli effetti collaterali (!)
“Uno studio condotto da ricercatori della New York University e della Columbia University sostiene che i trader hanno ottenuto informazioni sull’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre, prima che avvenisse, e hanno realizzato operazioni short sulle borse degli Stati Uniti e d’Israele nella prospettiva che i prezzi delle azioni crollassero dopo l’attacco”. Così il sito Globes.. In pratica alcuni operatori americani e israeliani hanno scommesso sul fatto che il prezzo di alcuni titoli sarebbe crollato dopo il 7 ottobre, cosa avvenuta.
 
Nella Finanza si sapeva…
“I ricercatori affermano di aver identificato significative vendite allo scoperto prima dell’attacco di decine di società quotate nella Borsa di Tel Aviv. Dallo studio emerge che tra il 14 settembre e il 5 ottobre sono state realizzate acquisizioni short pari a 4,43 milioni di azioni della Banca Leumi”.
“Dopo l’attacco di Hamas, gli stessi hanno goduto di profitti pari a 3,2 miliardi di shekel. I ricercatori scrivono di non aver notato un aumento cumulativo di acquisizioni short su azioni di società israeliane scambiate sulle borse statunitensi, ma hanno identificato un forte e insolito aumento nella negoziazione di opzioni su tali azioni con date di scadenza poco dopo il 7 ottobre”. Possibile, peraltro, che lo studio abbia rivelato solo la punta dell’iceberg nell’insondabile mare magnum della grande finanza.
Nulla di nuovo sotto il sole: anche in costanza dell’attacco dell’11 settembre si erano registrate operazioni anomale in Borsa, che avevano permesso a tanti di lucrare su quanto poi sarebbe avvenuto. Quando la speculazione fu rivelata George W. Bush promise solennemente che gli Stati Uniti avrebbero aperto un’inchiesta, ma non se ne è fatto nulla. Troppi gli interessi in gioco e troppo potenti gli speculatori, che evidentemente sapevano in anticipo quanto sarebbe avvenuto. Dovrebbe meravigliare, ma neanche troppo…
Il mistero di quanto avvenuto quell’11 settembre, come quello che avvolge l’attacco del 7 ottobre, è destinato a restare tale. Per quanto riguarda quest’ultimo, restano le opposte narrazioni pubbliche: l’attacco proditorio denunciato da Israele e la grande operazione della resistenza dall’altra. Mentre, a quanto pare, ad alto livello tanti sapevano e hanno lasciato fare, anche nella Sicurezza israeliana.
La sparizione delle registrazioni video e audio
Ai questi misteri dolorosi si aggiunge la sparizione dei filmati dalle telecamere di sicurezza poste da Israele al confine con Gaza.
Il sito israeliano Walla ha riferito che “una mano invisibile” ha cancellato tutto quanto era rimasto impresso nella “rete militare denominata Zee Tube”. A scoprirlo un funzionario di alto livello dello Stato Maggiore incaricato di investigare sul caso che, giunto sul luogo del delitto, è il caso di dirlo, ha trovato tutto cancellato.
“Funzionari della Divisione di Gaza – prosegue Walla – hanno affermato che c’è stata anche una ‘cancellazione’ delle registrazioni delle comunicazioni del 7 ottobre”. Le registrazioni potrebbero esser state trasferite altrove o cancellate, non si sa. Due le spiegazioni: la prima, più piana, è che si voglia nascondere la palese inefficienza della Sicurezza di quel giorno; la seconda è che si voglia celare altro e più inconfessabile (o forse un mix di ambedue).
A pensar male si fa peccato, ma a volte si indovina. Ha colpito non poco la reazione durissima della Difesa israeliana alla rivelazione di Haaretz sull’elicottero militare che, nell’intento di colpire i miliziani di Hamas, avrebbe sparato contro i civili convenuti al rave.
Rivelazione che aveva rilanciato le domande poste da Max Blumenthal sulla reazione dell’esercito israeliano all’attacco, che sarebbe stata confusa e non selettiva sui bersagli, tanto da aumentare le vittime civili (la rivelazione di Haaretz, va puntualizzato, è stata poi negata dalle autorità).
La variabile Netanyahu
Al di là del particolare, resta la nuova fiammata della guerra di Gaza dopo la fine della tregua. I negoziati in Qatar, proseguiti nonostante la ripresa del conflitto, sono ormai collassati. Hamas e Tel Aviv si rimpallano e responsabilità.
Secondo Alastair Croocke gli Stati Uniti puntavano a una tregua prolungata che fosse prodromica a un cessate il fuoco permanente, perché con il passar del tempo sarebbe stato può arduo riaprire le ostilità.
Ma le autorità israeliane volevano a tutti i costi la guerra, forti anche di un consenso del 90% dei loro cittadini sulla necessità di eliminare Hamas. Dissensi anche sulla durata della guerra, con Blinken che avrebbe dato a Netanyahu alcune settimane per chiuderla, mentre il premier israeliano ribadiva la sua volontà di proseguire per mesi.
Sempre Crooke spiega che Netanyahu sta tentando – anzi sarebbe riuscito – di rimodellare la narrazione della guerra: non più una risposta all’attacco, ma una lotta esistenziale che porti a compimento la lotta di liberazione di Israele, una “Seconda guerra d’indipendenza”, che riprendeva quella del ’48.
Narrazione che, peraltro, unisce le aspirazioni alla Grande Israele del messianismo ebraico con il nazionalismo di certo sionismo laico. Prospettiva massimalista, dunque, che ben si attaglia a una guerra prolungata che dovrebbe permettere la sopravvivenza politica di Netanyahu (che però oggi è stato richiamato alla sbarra: il processo per corruzione potrebbe ripartire…).
 
Eliminare Hamas?
Ad allungare i tempi l’intento dichiarato di eliminare completamente Hamas, che, come scriveva Thomas Friedman sul New York Times del 1 dicembre, è “un obiettivo irraggiungibile”.
Non solo Netanyahu fa orecchie da mercante sull’obiettivo, ma anche sulle modalità dell’operazione. Se la Casa Bianca chiede moderazione (per evitare rotture con i Paesi arabi), la campagna nel Sud da Gaza procede con la stessa modalità alzo zero che ha contraddistinto quella a Nord.
Lo ha dichiarato apertamente il Capo di Stato Maggiore israeliano, secondo il quale la nuova campagna “non sarà meno potente” della precedente (Timesofisrael). Lo dicono anche i numeri: oltre 700 le vittime registrate alla sera di domenica, solo 24 ore dopo la ripresa dei combattimenti (al Jazeera).
La fabbrica di obiettivi
Il numero sproporzionato di vittime civili che sarebbe dovuto anche all’uso (spregiudicato) dell’intelligenza artificiale. A supportare le operazioni, un sistema AI chiamato Habsora, Vangelo (sic), che ha permesso all’Israel defence force di accelerare “significativamente le operazioni”, producendo una lista di obiettivi da colpire. Una vera e propria “fabbrica” di obiettivi (Guardian).
A rivelare il retroscena l’inchiesta di due media (+972, Magazine israelo-palestinese, e Local Call, testata in lingua ebraica) basata su informazioni provenienti dall’intelligence e dall’aeronautica israeliana, fonti palestinesi e fonti aperte.
In estrema sintesi, al sistema sono stati forniti tutti i dati raccolti dall’intelligence israeliana su Gaza, della quale essa sa tutto, compresi i componenti dei nuclei familiari di ogni singolo appartamento; e, insieme, tutte le informazioni raccolte nel tempo su Hamas: i singoli militanti, le loro case, i loro parenti, i luoghi nei quali si tengono o si sono tenute riunioni etc.
L’intelligenza artificiale fornisce quindi l’analisi dei cosiddetti danni collaterali, leggi morti civili, che verrebbero provocati da un attacco a un obiettivo, vero o presunto che sia (la casa di un militante, ad esempio è un possibile obiettivo). “Tale numero [dei danni collaterali ndr] viene calcolato ed è noto in anticipo ai servizi segreti dell’esercito, che sanno anche, poco prima dell’attacco, quanti civili verranno sicuramente uccisi”, si legge su +972.
Così riporta il sito: “Niente accade per caso”, ha detto un’altra fonte. “Quando una bambina di 3 anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema ucciderla – che cioè era un prezzo che valeva la pena pagare per colpire [un altro] bersaglio. Non siamo Hamas. Questi non sono razzi casuali. Tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti ‘danni collaterali’ ci sono in ogni casa”. Ci fermiamo qui, perché crediamo che basti.
Gli aiuti dell’Occidente
Il dramma è che l’Occidente, benché a parole protesti contro l’approccio bellico di Israele – ultimo Macron, il quale ha affermato che l’obiettivo di eliminare Hamas farà durare la guerra un decennio – non fa molto per opporsi. Anzi l’America, dal 7 ottobre, ha fornito a Tel Aviv “15.000 bombe, di cui oltre 5.000 con testate da 2.000 libbre”, quelle che buttano giù interi palazzi (Wall Street Journal).
Non solo. Il sito Declassified Uk, in base a documenti top secret, ha rivelato che “le risorse per lo spionaggio della Cipro britannica sono integrate con la ‘pianificazione e le operazioni militari’ – e l’intelligence probabilmente viene passata a Israele come ausilio al bombardamento di Gaza”. Peraltro, droni britannici e statunitensi sorvolano quotidianamente Gaza, non certo per riprese panoramiche.
Questa guerra, se guerra si può chiamare la mattanza in corso, sta trascinando l’Occidente in un abisso sempre più oscuro.

Previsioni per il 2024

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di Malek Dudakov

Il 2024 è un anno elettorale. E promette di essere un successo per la destra in molti Paesi contemporaneamente. Il Partito Popolare di Modi si avvia alla terza vittoria elettorale consecutiva in India, consolidando la sua posizione in Parlamento. In Portogallo, i populisti di destra del partito Chega stanno facendo centro.

Ma ancora più critico per Bruxelles sarà l’esito delle elezioni in Austria, dove il Partito della Libertà, gli euroscettici e gli oppositori della guerra con la Russia hanno buone probabilità di vincere. Così come le elezioni in Sassonia, Brandeburgo e Turingia, con una vittoria schiacciante dell’Alternativa per la Germania.

Alle elezioni del Parlamento europeo del giugno 2024, il blocco della destra sistemica – i Conservatori e Riformisti – otterrà il terzo posto, mentre la destra non sistemica di Identità e Democrazia otterrà il quarto posto. Con loro dovranno condividere le posizioni dei commissari europei, il che aggraverà ulteriormente le disfunzioni di Bruxelles.

L’eccezione sarà la Gran Bretagna, dove i laburisti vinceranno e l’eurofilo Keir Starmer sostituirà Sunak. Le elezioni di gennaio a Taiwan saranno sorprendentemente tranquille. Ma una nuova escalation potrebbe iniziare alla fine del 2024, in mezzo all’instabilità politica con il passaggio del potere agli Stati Uniti.

Trump otterrà l’ammissione alle primarie e alle elezioni nella stragrande maggioranza degli Stati ma sarà ancora più attivamente sfidato da cause penali. Non si può escludere un verdetto di colpevolezza proprio alla vigilia delle elezioni. La situazione negli Stati Uniti sarà molto caotica: la probabilità di un attentato a uno dei candidati o di un grave attacco terroristico è piuttosto alta.
Nel caso in cui Trump riesca fisicamente ad arrivare alle elezioni e non finisca in carcere, vincerà contro Biden o Harris, qualunque di loro sia il candidato dei Democratici. I repubblicani, invece, otterranno la maggioranza al Senato, vincendo in Montana, Ohio e West Virginia. I Democratici non lo accetteranno, quindi possiamo aspettarci grandi rivolte e disordini nelle strade.

La squadra di Biden invierà attivamente emissari a Doha e Istanbul, cercando di negoziare con l’Iran sugli Houthi e con la Russia sull’Ucraina. Le tranche per Kiev saranno concordate entro la fine di gennaio ma in un volume minore. La situazione sul fronte di Kiev si deteriorerà costantemente, minando la posizione di Biden.

La FED inizierà a ridurre rapidamente il tasso di riferimento a febbraio, seguita dalla BCE e da altre banche centrali. Questo aiuterà gli Stati Uniti a evitare la recessione ma non la stagnazione. L’Europa sarà già saldamente in recessione, con la minaccia di una destabilizzazione politica nel 2025.

Cattolicesimo, Massoneria e Metafisica del Caos (critica a una parte della filosofia di Dugin)

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QUINTA COLONNA

EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/11/26/cattolicesimo-massoneria-e-metafisica-del-caos/

Il Canone 2335 del Codice di Diritto Canonico del 1917 si esprimeva così: “Tutti coloro i quali danno il proprio nome alla setta massonica o ad altre associazioni dello stesso genere, che complottano contro la Chiesa e contro i legittimi poteri civili, incorrono ipso facto nella scomunica riservata simpliciter alla Sede Apostolica”. Quindi, se qualcuno, all’interno dei Sacri Palazzi, era massone, allo stesso tempo era immediatamente scomunicato.
La Chiesa Cattolica non ha condannato la Massoneria solo per una evidente attività, volta a sovvertire i suoi insegnamenti, ma nell’Enciclica Humanum Genus di Papa Leone XIII del 20/04/1884 ha esplicitamente rigettato le idee filosofiche e morali contrarie all’Ordine naturale e divino. Lo stesso Pontefice scrisse una lettera al popolo italiano, datata 8/12/1882, denominata “Custodi”, in cui scrisse: “Ricordiamoci che il cristianesimo e la massoneria sono essenzialmente inconciliabili, così che iscriversi all’una significa separarsi dall’altra”. La condanna leonina si basava soprattutto sulla condanna del liberalismo, di cui, invece, le logge hanno sempre fatto il loro vanto.
Ne deriva che il cattolico non può rapportarsi con Dio in un’ottica esterna di tipo “umanitario” e aconfessionale, a fronte di una dimensione interna, autenticamente cattolica. Cristo è Re dell’universo perché Creatore, che ha dato all’uomo il comandamento della carità. Il vero bene del prossimo, dunque, non è una filantropia fine a se stessa o meramente terrena, ma predisposta a trovare la luce per vivere secondo le leggi di Dio. Purtroppo, nell’epoca della secolarizzazione, la massoneria è riuscita a vincere nella civiltà occidentale, perché, in ogni ambito, è riuscita a creare una mentalità massonica di massa.
Quasi tutti, oggi, sono soggettivisti, nichilisti, agnostici e ritengono che l’umanesimo integrale sia l’elemento fondamentale per la felicità e che la fratellanza sia sinonimo di “persona giusta”. Il giusto – come ha rilevato acutamente S. Tommaso d’Aquino – è colui che sa scindere il bene dal male attraverso un’adesione dell’intelletto e della volontà alla realtà, nella maniera in cui solo Dio la desidera. Non può prescindere da Lui. Il Figlio di Dio, per natura, è Dio. Solo chi condivide l’annuncio della salvezza può diventare figlio di Dio, “per adozione”. Pertanto, o si ritorna al realismo aristotelico-tomista, all’armonia e alla collaborazione fra potere temporale e spirituale, oppure si cade inesorabilmente nella “metafisica del caos”, ove tutto affonda e niente si salva.
Paolo Maria Siano, nato nel 1972, appartenente all’ordine dei francescani dell’Immacolata è, certamente, uno dei massimi studiosi della Massoneria; ha attribuito questa deriva, propria delle idee massoniche, al pensiero filosofico del russo Alexander Dugin, il quale teorizza una necessità irreversibile di caduta nell’abisso del male e rivaluta il Caos come principio primordiale ed eterno dell’universo.“Dobbiamo imparare a pensare con il caos e dentro il caos” – scrive Dugin ne “La quarta teoria politica” (pag. 238) –  mentre noi cristiani opponiamo l’unica Verità di Colui che ha dato la Sua luce alle tenebre e il Suo ordine al caos (Genesi 1, 4-5), rifiutando qualsiasi forma di relativismo e nichilismo, assieme a simbolismi legati all’occulto, all’esoterismo, alla magia o peggio, come ha osservato giustamente il Prof. Roberto De Mattei su “Corrispondenza Romana” del 9/06/2021.
Se, dunque, su questioni di natura meramente politico-economica e di morale tradizionale, ossia rispettosa del diritto naturale, è possibile e, probabilmente auspicabile un mondo multipolare, l’orizzonte soprannaturale rappresentato da Dugin è, almeno per il momento, motivo di completa divergenza con il pensiero cattolico romano e dovrebbe diventare spunto di riflessione per tutti coloro che, troppo frettolosamente, abbracciano in toto le teorie di uomini carismatici ma, in parte, ancora sconosciuti e in parte nel buio dell’errore dottrinale. 

Kosovo e Serbia d’accordo: “Abbiamo bisogno della Nato”. Aumenterà la presenza della Kfor

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di Cristiano Tassinari

 

Il primo ministro kosovaro Albin Kurti ha accolto positivamente la decisione della Nato di aumentare la propria presenza nella regione. D’accordo anche il presidente serbo Aleksandar Vučić, che però chiede: “Operazione di peacekeeping Nato al posto della polizia kosovara”

Almeno su una cosa Kosovo e Serbia sono d’accordo: servono piu truppe Nato.

Il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ha accolto con favore la decisione dell’Alleanza atlantica di rafforzare la propria presenza nella regione, dopo la recente escalation di violenza, culminata – domenica 24 settembre – nell’omicidio di un agente di polizia kosovaro e nell’assedio del monastero di Banjska dove si era asserragliata la banda armata serba.

La Nato è presente In Kosovo già dal 1999,  con la Kfor, forza di pace internazionale, a guida italiana, è coordinata dal generale italiano Angelo Michele Ristuccia.

Venerdì la polizia kosovara ha fatto irruzione in cinque località nel nord del Kosovo, zona in cui la popolazioone è a maggioranza serba.

“Truppe Nato al posto della polizia kosovara”

Anche il presidente della Serbia Aleksandar Vučićaveva già chiesto, nei giorni scorsi, di sostituire la polizia kosovara con un’operazione di peacekeeping della Nato.

La sparatoria di domenica tra il commando serbo (almeno una trentina di uomini, tre morti e otto arrestati) e la polizia kosovara è stata uno dei peggiori episodi di violenza tra i due Paesi da quando il Kosovo ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza dalla Serbia nel 2008.

 

Il sostegno statunitense

Il consigliere per la Sicurezza nazionale americano Jake Sullivan ha parlato al telefono con ilprimo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ed ha espresso le sue condoglianze per la morte del poliziotto durante i violenti attacchi del 24 settembre.

Il funzionario americano ha anche sottolineato la preoccupazione degli Usa per la mobilitazione militare serba vicino al confine con il Kosovo e ha sottolineato la disponibilità  degli Stati Uniti a lavorare con gli alleati per garantire che la Kfor abbia risorse per compiere la sua missione.

 

POLEMICA | Berizzi contro la Curva Sud. Christus Rex-Traditio lo querela: offende generalizzando

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di Redazione Telenuovo

“Dunque gli ultrà neonazisti dell’Hellas Verona, quelli dei cori pro Hitler e della tolleranza zero contro drogati e sbandati, hanno trasformato la Curva Sud e il loro bar di ritrovo in un tempio dello spaccio di cocaina”. Così il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi ha commentato su X l’inchiesta veronese sullo spaccio e l’uso di cocaina in Curva Sud. Lo stesso giornalista, noto per le dure prese di posizione nei confronti dei tifosi del Verona ha spiegato su Repubblica nella rubrica Pietre: “Siamo una squadra fantastica fatta a forma di svastica… che bello è… allena Rudolf Hess”. È uno dei cori che intonano da anni gli ultrà neonazisti dell’Hellas Verona. Adesso un’operazione della polizia ha permesso di scoprire che i “duri e puri” della tolleranza zero contro drogati e sbandati avevano trasformato la Curva Sud dello stadio Bentegodi e il bar ritrovo dell’ala più dura della tifoseria scaligera in un tempio dello spaccio di cocaina. Che veniva venduta e consumata prima e durante le partite nei bagni dello stadio e del locale attiguo, in piazzale Olimpia. Centinaia di dosi preparate e portate all’interno dell’impianto sportivo nascoste nell’abbigliamento. Dodici le persone arrestate. Quando si dice la nemesi“.

Dichiarazioni che non sono piaciute a Matteo Castagna, Responsabile Nazionale del Circolo Christus Rex-Traditio, che ha presentato una denuncia querela nei confronti di Berizzi, tramite l’avvocato Andrea Sartori. Si legge nella denuncia:

Il Circolo Christus Rex-Traditio frequenta da almeno trent’anni la Curva Sud dello stadio Marcantonio Bentegodi di Verona per sostenere la squadra del cuore di molti suoi componenti, che è l’ Hellas Verona F.C. Siamo rimasti sconcertati di fronte al tweet del giornalista di Repubblica Paolo Berizzi che getta fango su tutta la tifoseria dell’Hellas Verona, reiterando un livore che lo ha caratterizzato in passato con una “persecuzione” maniacale, non solo con scritti sulla rubrica del quotidiano La Repubblica, denominata “Pietre”, ma anche con libri, tra cui l’ultimo è “E’ gradita la camicia nera” (ed. Rizzoli) ove costantemente la tifoseria dell’Hellas Verona viene genericamente criminalizzata con l’odio che l’autore vorrebbe combattere, ma nella pratica, utilizza anche inventando “trame nere” ove non esiste nulla. Secondo il tweet in oggetto, che ha numerosi followers, noi cattolici che abbiamo la passione per il Verona calcio dalla Curva Sud, saremmo “ultrà neonazisti”, “quelli dei cori pro Hitler…. che hanno trasformato la Curva Sud ed il loro bar di ritrovo in un tempio dello spaccio di cocaina“. Continua Castagna: “Nel mucchio, anche noi saremmo “i “duri e puri” che “pippano prima e durante le partite” tutte le domeniche. Giudichiamo estremamente offensiva la generalizzazione che viene fatta, perché va a colpire tutti, in un settore che tiene oltre 5.000 spettatori. E’ puro veleno, figlio dell’odio e della discriminazione politica così come prevista dalla Legge Mancino, politico anche per la città, che l’Hellas Verona rappresenta nella massima serie ed è una grave diffamazione nei nostri confronti, che non abbiamo mai fatto uso di sostanze stupefacenti né le abbiamo mai vendute. In rappresentanza del gruppo e in proprio, Matteo Castagna come sopra generalizzato, Responsabile Nazionale, ben conosciuto dalle Istituzioni e dalle forze dell’ordine locali ritiene di essere stato diffamato e calunniato dalle affermazioni pubblicate e qui allegate, in questo “gioco” allo scontro di Repubblica e di Berizzi, essendo egli e tutti i componenti che partecipano allo spettacolo calcistico, del tutto estranei ai fatti esposti“.

 

Fonte: https://www.google.com/url?rct=j&sa=t&url=https://tggialloblu.telenuovo.it/hellas-verona/2023/09/04/polemica-berizzi-contro-la-curva-sud-christus-rex-traditio-lo-querela-offende-generalizzando&ct=ga&cd=CAEYACoTNzAyMzIzMjc1NDY2MDU5NzgxNTIZNTRiZjgxMGU4ODU3NDlhMDppdDppdDpJVA&usg=AOvVaw1dJfBI0BhDyqTsE1wGzIRM

 

I BRICS vogliono un nuovo ordine multipolare

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/08/28/i-brics-vogliono-un-nuovo-ordine-multipolare/

tradotto in spagnolo dall’O.d.G. dell’America Latina per la rivista “Voces del Periodista”: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/internacional/los-brics-quieren-un-nuevo-orden-mundial/

I BRICS DENUNCIANO LA POLITICA UNILATERALE ED OPPRESSIVA STATUNITENSE

Dal 22 al 24 Agosto 2023 si è tenuto, a Johannesburg, il XV vertice dei Paesi emergenti: i BRICS+, acronimo di Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica + una settantina di altri Paesi ospiti, tra cui tutti quelli africani. Assente Vladimir Putin, sul quale pende, da parte della Corte penale internazionale, un mandato di arresto internazionale per presunti crimini di guerra in Ucraina. La Russia è stata rappresentata dal suo fedelissimo Ministro degli Esteri Serghei Lavrov. Putin ha comunque rilasciato la dichiarazione ufficiale che avrebbe fatto in presenza, da remoto, prima del meeting.

I BRICS+ si sono ritrovati dopo 5 anni di stop, dovuto all’emergenza Covid. I media occidentali hanno snobbato o trattato con sufficienza questo evento, ritenendo che i BRICS dovrebbero sciogliersi perché alquanto divisi tra loro, senza, però, specificare quali sarebbero questi motivi di divisione. Anche il Presidente della Commissione Esteri alla Camera e del think thank Aspen Institute Italia On. Giulio Tremonti ha sostenuto che i BRICS non possono vincere la sfida con l’Occidente. L’ha motivata perché sono Paesi privi di libertà, Oltre alla presenza di una netta divergenza tra India e Cina, che potrebbe compromettere l’unità e la coesione del gruppo.

Diversi economisti occidentali tendono a scoraggiare l’assemblea dei BRICS+ perché il dominio del dollaro e il suo effetto distorsivo sui processi di sviluppo sono un dato di fatto con cui i paesi in via di sviluppo dovrebbero rassegnarsi a convivere. In poche parole, non gli può riuscire il paventato cambio di valuta per i commerci, che, effettivamente è loro espressa volontà, ma che in Sudafrica non si è concretizzato, per quanto discusso ampiamente, su larga scala. Il 90% del commercio globale continua ad essere condotto in dollari statunitensi, sebbene il progresso dei rapporti e delle alleanze tra Stati molto ricchi non faccia di questo un dogma perpetuo.

Come spesso ripete Putin, la teoria del multipolarismo si basa sul fatto che gli attori internazionali hanno influenza e potere in diverse materie e regioni del mondo, però nessuno di loro può imporre unilateralmente la propria volontà sugli altri. Su questo i BRICS+ sono tutti compatti, denunciando la politica unilaterale ed oppressiva statunitense. Ci sono tutti i motivi per pensare che il futuro veda il mondo riunito in un unico blocco, con gli Stati Uniti e l’UE nell’angolo. Putin, dalla guerra in Ucraina ha scatenato una reazione di avvicinamento globale di tutti i Paesi stanchi di subire l’unipolarismo americano. Obiettivo comune è e resta sfidare il radicato dominio geopolitico dell’Occidente. Lo zar, sfruttando politicamente la guerra in Ucraina, è riuscito a mettere assieme il mondo arabo con le civiltà orientali, con l’Africa e buona parte dell’America Latina.

Il cambio di paradigma finanziario, contrariamente a quanto si dice in Occidente, diverrebbe una ovvia conseguenza al fatto che i BRICS+ i nuovi 4 arrivi rappresentano l’85% della popolazione del pianeta, (3,7 milioni di abitanti) ed il 36% del Pil del pianeta, con tre Paesi che risultano, già oggi, tra le prime cinque economie globali, secondo i dati forniti dalla banca mondiale. Resta imprescindibile e da non sottovalutare, che la seconda economia mondiale dopo la Cina è rappresentata dagli Stati Uniti. La Russia è la quinta economia del mondo. L’Occidente dovrebbe lasciar da parte ogni spocchia e senso si supremazia economica e culturale, perché gli altri “mondi” si stanno organizzando in fretta, sono disponibili al dialogo ed alla collaborazione, ma l’atteggiamento deve cambiare se non si vuole il suicidio politico-finanziario, che sembrerebbe già pronto nell’agenda 2030 dei BRICS+.

Il summit ha ottenuto risultati importanti nel medio e lungo termine, che potrebbero favorire l’abbandono del dollaro: “Abbiamo raggiunto un accordo, per poter invitare Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a diventare membri a pieno titolo dei BRICS..Il loro ingresso avverrà il primo gennaio 2024” – ha dichiarato il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa. Le riserve di petrolio e gas degli Stati Uniti, insieme all’influenza geopolitica, forniscono agli americani una certa indipendenza, ma l’Europa sembra debole e con una strategia inadeguata, perché semplicemente sottomessa ai diktat di USA e NATO. La UE non ha una strategia propria e non l’avrà perché i padroni non lasciano le colonie agire da sole. Nonostante si parli di allontanamento dall’influenza della Cina, la dipendenza dell’Europa dalla produzione e dai mercati asiatici cresce. Le strategie europee si basano sui minerali africani, sui metalli, sugli idrocarburi e sulle fonti di energia rinnovabile, tutti sempre più alla mercé di alleanze mutevoli, presto convergenti nei BRICS+ assieme ai giganti dell’energia della galassia islamica.

La convergenza di Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Brasile e Russia conferisce ai BRICS+ il controllo di oltre il 60% delle riserve e della produzione energetica globale. I leader africani hanno sottolineato che sta aprendosi un’era completamente nuova per il mondo intero. Questo è l’inizio della formazione di un nuovo ordine mondiale, senza la pressione selvaggia dell’Occidente. Si parla di un nuovo NOM “alternativo” fatto dai BRICS+, ove indipendenza e cooperazione, rispetto delle tradizioni e valuta unica, sinergia energetica e collaborazione politica, interscambio delle materie prime sarebbero i principi fondamentali. Queste premesse appaiono l’opposto di quanto pianificato dagli “illuminati” anglo-americani, da Mackinder e Brzezinsky, fino a Bill Gates e ai Rothschild. Se andasse in porto un’alleanza simile composta da: BRICS + i 4 ingressi previsti tra quattro mesi e il graduale ingresso dei quaranta altri Paesi che hanno fatto richiesta, senza intoppi e svincolata dal dollaro, il deep state sarebbe ampiamente ridimensionato e la politica della UE subirebbe la più grande crisi della sua storia.

Quo vadis Europa?

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.2dipicche.news/quo-vadis-europa/ – https://www.informazionecattolica.it/2023/08/21/quo-vadis-europa/ e, in spagnolo sulla rivista in America Latina: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/internacional/quo-vadis-europa/

Quo vadis Europa? – “Henry Kissinger ha tuttora una considerevole influenza” – scrIve The Economist. L’ex Segretario di Stato americano sostiene che la ricerca contemporanea dell’ordine mondiale richiederà una strategia coerente per affermare un concetto di ordine nell’ambito delle varie regioni, e per mettere in rapporto tra loro questi ordini regionali.

Il consigliere geopolitico più ascoltato al mondo è per una revisione del concetto di equilibrio.

Il vecchio ordine è in costante mutamento, però la forma di ciò che lo sostituisce è altamente incerta. Per Kissinger serve trovare dei criteri per il superamento delle differenze. Inoltre, nelle sfide della nostra epoca, il centenario ma sempreverde stratega sostiene che l’America deve avere un ruolo primario, risoluto e significativo, sia dal punto di vista filosofico che geopolitico. “Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume” – riflette il “grande vecchio”, riprendendo una frase di James Reston sul suo Defenders of the Faith, del 2009.

La storia come mutamento

Si può, cioè, pensare alla storia come a un fiume, ma le sue acque saranno sempre in mutamento. (Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, 2023)

Il Prof. Giulio Tremonti, Presidente dell’Aspen Institute, si chiede, proprio come Kissinger: “Quo vadis Europa?”

Adenauer, nel 1957, riferendosi alla nascente Comunità Europea citò un proverbio tedesco: “gli alberi non devono impedire di vedere il bosco”.

Oggi è valido l’opposto: il bosco, troppo fitto, non deve impedire di vedere gli alberi! Significa che per diventare europei non dobbiamo dimenticare di essere italiani.

E’ ciò che Kissinger definirebbe “l’ordine nelle varie regioni”. Anziché valorizzare la sua storia e civiltà – prosegue Tremonti – l’Italia si è posta in incondizionata subordinazione dell’Europa, introducendo questa clausola in Costituzione nel 2000. E poi, ancora, quando nell’autunno del 2011 abbiamo ceduto al vizio storico della “chiamata dello straniero”.

E’ ciò che Kissinger chiamerebbe mutamento dell’equilibrio in una struttura più grande, unitaria e cooperante.

La critica di Tremonti

Tuttavia, Il Prof. Tremonti critica, con argomenti appropriati ed una significativa pars construens, questa Europa, che “fa ciò che non dovrebbe fare: infinite regole e de minimis, su tutto e per tutto, cercando di normalizzare, di standardizzare per “Direttiva” o per “Regolamento” tutte le realtà storicamente proprie dei vari Stati dell’Unione, cercando di cancellarle d’ufficio e di colpo, per sostituirle con modelli sociali nuovi universalistici, artificiali e oramai fallimentari”.

Le soluzioni proposte dall’ex Ministro dell’economia e delle finanze dei governi Berlusconi II, III, IV sono:

a) lasciare alla sovranità dei nostri Stati ciò che non è essenziale per l’Unione. L’Europa, per evitare la Brexit, propose all’Inghilterra di eliminare molte delle regole europee che considerava non necessarie all’Unione, e comunque, contrarie alle sue tradizioni. Lo ha fatto dichiarando che tale “concessione” era completamente compatibile coi vigenti trattati.

b) Fare come l’Europa, ciò che invece finora non si è fatto: concentrarsi su sicurezza, intelligence e difesa dei confini, finanziate emettendo titoli europei (Eurobond). [Giulio Tremonti, Le Tre Profezie, Ed. Solferino, 2020]

“Serve uscire dal paradigma suicida”, col coraggio e la saggezza del vero statista, “per cui un continente, più è importante nel mondo – come l’Europa – più deve essere debole!”.

I BRICS

Orgoglio nazionale, sovranità non devono rimanere slogan o parole vuote, perché negli altri continenti si sta correndo.

Il Presidente dell’Istituto Italia BRICS, già presidente della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli, il 18 Agosto ha precisato che il BRICS diventerà sempre più un’alleanza di Paesi uniti dall’obiettivo di liberarsi dal neocolonialismo dell’Occidente collettivo e di determinare autonomamente le politiche di cooperazione, sviluppo collettivo, equilibrato e reciprocamente vantaggioso. Anche questo proposito, in teoria, potrebbe piacere a Kissinger, ma certamente non con la marginalizzazione degli USA.

Perciò è questo il momento di un sussulto d’orgoglio “made in Italy”, svincolandosi dalla UE in tutti gli ambiti possibili e già garantiti dai trattati internazionali.

Dio li fa, Licio li accoppia

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QUINTA COLONNA

di Matteo Castagna

Paolo Ojetti su “L’Europeo” del 7/01/1977 scrisse che “Il potere temporale della Chiesa si appoggia e si ramifica grazie alle solite complicità: chi porta alle casse della Santa Sede i mezzi per rinsaldare il potere finanziario sono sempre le banche le grandi società immobiliari, le società assicuratrici, il capitale tradizionalmente vicino agli ambienti della Curia […]. E poi chiosò con una stilettata: “tra l’investimento misericordioso e quello redditizio, la Chiesa sceglie tuttora il secondo”.

Agostino Giovagnoli nella prefazione al testo “IOR” di Francesco Anfossi (Edizioni Ares, 2023) dimostra che non è sempre stato così. Fondato da Papa Pio XII nel 1942, lo IOR raccolse un’ eredità di fine Ottocento per garantire il mantenimento dei flussi finanziari alle opere di religione di tutto il mondo, mantenendosi, per volontà dello stesso Santo Padre papa Pacelli un investimento misericordioso di sostentamento del clero e delle sue buone opere di carità. Fu certamente un’intuizione meravigliosa di Papa Pacelli, utilizzata allo scopo di utilizzare il denaro per i nobili scopi dell’evangelizzazione dei popoli, del soccorso alla povertà, del mantenimento dei beni della Chiesa e del clero. In parte, dopo la morte di Pio XII (1958) i fini di questa istituzione non furono all’altezza del compito assegnato.

Nell’ottobre del 1959 il cardinale Domenico Tardini, Segretario di Stato di Giovanni XXIII, convocò per la prima volta una conferenza stampa a Villa Nazareth per illustrare il bilancio della Santa Sede. si trattava di bilanci assai modesti. Anfossi scrive che “si basava molto sui servizi bancari del Banco di Roma, del Santo Spirito e della Cariplo fungendo da cassa del Vaticano”. 

Il “cambiamento climatico” rispetto al periodo di Pio XII, iniziò con la Presidenza dello Ior di Mons. Paul Marcinkus. La strada dello Ior si intrecciò, anzitutto con quella di Michele Sindona ma soprattutto col Banco ambrosiano di Roberto Calvi, di cui Francesco Anfossi parla con particolari inediti conservati nelle carte del cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Karol Wojtyla. Già dagli anni ’70 Licio Gelli, fondatore e Gran Maestro della Loggia massonica P2 continuava a tessere la sua tela massonica internazionale. Iscritti troviamo, dunque, Michele Sindona (tessera n. 1612), Roberto Calvi (tessera n. 1624) e il finanziere Umberto Qrtolani (tessera n. 1622).

Quest’ultimo si inserisce molto bene nella Democrazia Cristiana, intrattenendo rapporti soprattutto con Amintore Fanfani e Giulio Andreotti. Ortolani fonda l’Agenzia di stampa Italia (poi venduta all’ENI) e riesce a farsi eleggere presidente dell’Associazione stampa italiana all’estero. Attraverso le sue conoscenze politiche, lo si vede spesso all’interno delle mura leonine perché fa parte della ristretta cerchia del cardinale Giacomo Lercaro, noto per le sue posizioni ultra-progressiste durante il Concilio Vaticano II, tra i primi religiosi a instaurare il dialogo coi comunisti. le prebende di Lercaro e le frequentazioni politiche di alto livello gli varranno l’insegna del Cavalierato dell’Ordine di Malta e, più tardi, il ruolo di Gentiluomo di Paolo VI, nonché di suo consulente finanziario.

Mentre negli Stati Uniti il duo Gelli-Ortolani rimane piuttosto defilato, ad agire è un terzetto composto da tre finanzieri: il responsabile dello Ior Paul Casimir Marcinkus, Michele Sindona e Roberto Calvi, presidente di un istituto di credito di primaria importanza all’epoca, ossia il Banco Ambrosiano. I tre sono accomunati da caratteristiche molto simili: l’alta frequentazione di ambienti religiosi, la passione per gli affari (non importa di quale tipo)  e da una smisurata ambizione.

La vicenda del Banco Ambrosiano si concluse col suicidio della segretaria di Calvi e la morte a Londra del banchiere, che fu trovato impiccato a un’impalcatura sotto il Blackfriars Bridge. Si trattò di una vicenda oscura, in cui entrarono Licio Gelli e la P2, Umberto Ortolani, Francesco Pazienza e Flavio Carboni. Il Ministro del Tesoro dell’epoca, Beniamino Andreatta disse che “si trattò della più grave deviazione di un’importante istituzione bancaria rispetto alle regole della professione verificatasi in un grande Paese industriale in questi ultimi quarant’anni”. Il democristiano Andreatta afermò che vi era una corresponsabilità dello Ior nella mala gestio della più importante banca privata italiana, chiedendo al Vaticano di pagare 1.159 milioni di dollari. Marcinkus respinse le accuse, dicendo che lo Ior avrebbe concesso solo delle “lettere di patrocinio” a Calvi per frenare ulteriori debiti e finanziamenti alle società. Il riciclaggio era, inoltre, il reato compiuto in gran segretezza per conto di persone molto poco raccomandabili, di tutto il mondo. In particolare, la Commissione d’inchiesta accertò che i soldi sporchi della Banda della Magliana venivano ripuliti in questo sistema finanziario.

M.A. Calabrò, in “Le mani della mafia”, Ed. Associate, Roma 1991, scrive che il quadro del Banco Ambrosiano era disastroso. Calvi, insomma, nei primi anni (1971-1977) passati al vertice dell’Ambrosiano aveva “svaligiato” la banca, e ciò era avvenuto grazie alla filiale di Nassau.

Il “pozzo” senza fondo di miliardi di lire svaniti nel nulla e di acquisizioni societarie incrociate, comprende anche una serie di società scoperte anni dopo la loro costituzione. Risulteranno essere ben 24, tutte cariche di debiti e dislocate tra Panama e l’Europa, poste sotto l’ombrello della capogruppo-schermo, la manic Holding Sa. Attraverso questo fondo, la Loggia P2 controllava segretamente l’Ambrosiano: ciò costituisce uno dei punti fondamentali all’origine del crac della “Banca dei preti”.

Su La Stampa del 6/4/1975, parlando in terza persona, Sindona disse: “[Andreotti] disse che per tre volte aveva chiamato Sindona al capezzale della lira. Mi regalò pure una fontana di Trevi rifatta in argento da una scultrice amica sua”. All’American Club di Roma il banchiere siciliano viene proclamato “uomo dell’Anno 1973”. Ad assegnare il premio al massone piduista, nonché riciclatore di denaro sporo, il suo vecchio amico John Volpe, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia. Questo riconoscimento venne inte4rpretato come un doveroso omaggio a un banchiere che, due anni prima, sostenne la rielezione di Richard Nixon alla presidenza USA, devolvendo – stando a varie fonti – un milione di dollari. Una fortuita coincidenza volle l’8 Agosto 1974, Nixon debba dimettersi da presidente in seguito al clamoroso “scandalo Watergate”.

L’edificio del Watergate era stato costruito dalla Genale Immobiliare (ex proprietà del Vaticano), ovvero la stessa degli affari tra Sindona, Marcinkus e l’americano Bludhorn. 

Anche Gelli era ben introdotto negli ambienti politici americani, tanto che fu presente alle cerimonie di insediamento alla Casa Bianca del democratico Jimmy Carter e del repubblicano Ronald Reagan.

E’ grazie a questa complicità ad alto livello che a Sindona arrivano forti sostegni finanziari. Ad accorrere in suo soccorso è il Banco di Roma, istituto a capitale pubblico. Per una finanziaria sindoniana, la Moneyrex, il Banco conduce operazioni r servizi finanziari che avrebbe potuto benissimo realizzare da sola. Nel luglio e nel dicembre del 1974, la filiale di Nissau del Banco di Roma effettuò un prestito a Sindona di 130 milioni di dollari. E il 20 giugno successivo, perché il banchiere possa tamponare le falle della sua disastrosa attività, sempre il Banco di Roma – presieduto da un vertice di nomina andreottiana – gli accordò altri 100 milioni di dollari. Feudo politico della destra DC, la banca romana cercò poi di correre ai ripari: a luglio, i dirigenti distaccarono ben 40 funzionari negli istituti di credito del banchiere siciliano (Banca Unione, Banca Privata Finanziaria e anche Edilcentro-Sgi) per capire che cosa si nascondesse nell’ormai dissestato dissestato universo finanziario sindoniano.

Già da qualche tempo la Magistratura aveva messo sotto controllo le operazioni. Emergerà che Sindona, oltre a sovvenzioni mensili di qualche decina di milioni (dei primi anni ’70) alla DC ha versato un contributo di ben 2 miliardi dell’epoca. Ed emerse pure che il primo “protettore” politico del mafioso bancarottiere era Giulio Andreotti. Per mesi Sindona si dibatte per uscire dalla palude, manda segnali, soprattutto ai politici ed ai massoni amici, tenta ricatti, inscena un finto rapimento coinvolgendo i suoi compari della mafia. Ordinò l’assassinio dell’avv. Giorgio Ambrosoli, che era il suo curatore fallimentare, ma uomo integerrimo nell’onestà.

E Gelli? Come accertò la Commissione d’inchiesta parlamentare sulla Loggia P2, il Maestro venerabile operò a lungo nei traffici sindoniani. Nella relazione di minoranza, il missino Giorgio Pisanò rivolse un’aspra critica ai colleghi di maggioranza della Commissione, che non avrebbero indagato a fondo su certi legami tra i personaggi coinvolti nell'”affaire Sindona”. Finché gli affari del banchiere (affiliato alla massoneria nel maggio-giugno 1974) filavano lisci, il materassaio di Pistoia proseguiva nella sua tessitura massonica a Roma, espandendo i suoi rapporti in Sud America con personaggi di primissimo piano, soprattutto in Argentina.

L’ironia: “soldi santi e affari diabolici”  è più che azzeccata in questo imbarazzante spaccato di storia italo-vaticana. L’intreccio tra una finanza piena di ombre a una gestione da parte di uomini consacrati a Dio grida scandalo agli occhi del mondo, induce a perdere la Fede, nella rabbia che sovviene di fronte al famoso “pecunia non olet”. San Tommaso d’Aquino ha scritto che “l’avidità è un peccato contro Dio, proprio come tutti i peccati mortali, in quanto l’uomo condanna le cose eterne per il bene delle cose temporali”.

Considerate questo avvertimento di San Giovanni Maria Vianney, Patrono dei parroci:

L’avarizia è un amore disordinato dei beni di questo mondo. Sì, figli miei, è un amore regolato in modo malato, un amore fatale, che ci fa dimenticare il buon Dio, la preghiera, i sacramenti, per amare i beni di questo mondo – oro, argento e terre. L’uomo avido è come un maiale, che cerca il cibo nel fango senza curarsi della sua provenienza. Chinandosi al suolo, non pensa ad altro che alla terra; non guarda più il Cielo, la sua felicità non è più lì. L’uomo avaro non fa del bene fino alla morte. Guardate con che avidità raduna ricchezze, con quanta ansia le mantiene, quanto è afflitto se le perde… In mezzo alle ricchezze, non ne gode; è come se fosse immerso in un fiume e tuttavia morisse di sete; sdraiato su un letto di grano, muore di fame; ha tutto, figli miei, e non osa toccare nulla; il suo oro è per lui sacro, lo rende la sua divinità, lo adora…”

Anche la Scrittura è piena di avvertimenti. Dall’Antico Testamento:

“L’occhio dell’avaro non si accontenta di una parte, l’insana cupidigia inaridisce l’anima sua” (Siracide 14, 9).

Allo stesso modo, il Nuovo Testamento avverte:

“E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni»” (Luca 12, 15).

Infine, è sempre bene ricordare ai buonisti di oggi che Gesù cacciò i mercanti dal tempio con la verga contro un sistema economico, politico e religioso economicista, che non può piacere a Dio. Così, profondamente adirato il Signore gridò: «La Scrittura dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri». Ebbene, noi dovremmo tremare, di fronte a tanta giusta severità. Eppure Mammona o il Vitello d’Oro, nella nostra società sembrano divenuti i fini di molti, certamente di cinici speculatori, come Soros, i Rothscild, Bill Gates. Invidiare la loro ricchezza è il primo passo verso l’abisso.

Lasceranno, comunque, tutto in questo mondo e dovranno rispondere nell’Altro se: “ Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” ( 2 Timoteo, 4:7)  

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Cfr: Licio Gelli, Vita, Misteri, scandali del capo della Loggia P2. di Mario Guarino e Fedora Raugei – prefazione di Paolo Bolognesi (Ed. Dedalo, 2016, eu. 21,00)

Cfr.: IOR, Luci e ombre della Banca Vaticana dagli inizi a Marcinkus di Francesco Anfossi (Ed. Ares, 2023, eu. 16,80)

 

La manipolazione del potere e gli antidoti

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QUINTA COLONNA

di Matteo Castagna

Gianluca Magi è uno storico delle idee e delle religioni ed un filosofo particolarmente prolifico di scritti e opere interessanti. E’ alla VI ristampa 2021 di Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura per quelli di “Piano B Edizioni”.

“La propaganda è un’arte, non importa se questa racconti la verità” – Joseph Goebbels.

Il desiderio di dominio dell’uomo sull’uomo, le strategie di manipolazione, il controllo sociale e l’arte dell’inganno sono antiche quanto la storia dell’umanità. Per molti rappresentano l’arma più potente nel gioco del potere. L’essere umano contemporaneo è ridotto ad un soggetto passivo e il pensiero critico è sacrificato alla claustrofobia digitale.

Dalle 30.000 pagine che costituiscono i Diari (Tagebucher) di Joseph Goebbels, scritti dal 1923 al 1945, dalla sua vasta produzione pubblicistica, Gianluca Magi ha desunto 11 principi operativi di propaganda e manipolazione, assieme ad altri insigni collaboratori. L’attualità delle tecniche utilizzate dal Prof. Goebbels paiono molto simili a quelle del mainstream odierno e di molta controinformazione prezzolata, funzionale al Sistema di potere, perché controlla e mantiene nel recinto le masse, fingendo un’opposizione fittizia e, quindi, completamente inutile e priva di risultati.

Queste tattiche si basano sul presupposto dell’incapacità di giudizio delle masse. Se leggiamo il famosissimo testo di Gustave Le Bon Psicologia delle folle che ebbe gran successo tra il 1910 e il 1930, ci rendiamo conto che esse sono caratterizzate da: 1. Impulsività, mutevolezza, irritabilità. 2. Suggestionabilità e credulità tanto da poter osservare completa uguaglianza del dotto e dell’imbecille nella folla. 3.Esagerazione e semplicità dei sentimenti delle masse. Esse non conoscono né il dubbio, né l’incertezza e si pongono sempre agli estremi. 4. Intolleranza degli avversari e obbedienza assoluta a capi carismatici, mancanza di senso critico personale fino all’adulazione e all’idealizzazione di chi si identifica come leader.

Goebbels, così come tutti gli esperti di comunicazione, propaganda e manipolazione sono consapevoli delle dinamiche e delle caratteristiche indicate dallo studio del medico Gustave Le Bon e, pertanto, si possono scorgere in loro almeno una delle 11 caratteristiche che sono state individuate da Gianluca Magi:

  1. Semplificazione e nemico unico: adottare una sola idea, un unico simbolo. Scegliere un avversario e insistere sull’idea che sia lui la fonte di tutti i mali. nei mass media l’applicazione di questo principio consiste nel giocare la carta della confusione, amplificando ed enfatizzando una presunta dichiarazione o gesto, così da renderli “criminali” e creare nell’ascoltatore il convincimento che quello sia il vero male dei mali.
  2. Unanimità. Condurre la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti. Creare l’illusione che siano opinioni approvate, universalmente diffuse e professate. In tal modo si crea una falsa impressione di umanità.
  3. Volgarizzazione. Tutta la propaganda deve essere popolare, semplice, chiara, stereotipata, fare appello ai sentimenti e alla fantasia, adattandosi al meno intelligente degli individui ai quali è diretta. Quanto più grande è la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. la capacità ricettiva delle masse è molto limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria.
  4. .Orchestrazione. La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e slogan e ripeterli instancabilmente, senza dubbi né incertezze. Uniformi nei principi e multiformi nelle sfumature: presentarli sotto diverse prospettive e forme, però convergendo sempre sullo stesso concetto. Una menzogna, tanto più è sfrontata e ripetuta, tanto più risulta convincente. La parola propaganda fu usata per la prima volta da papa Gregorio XV, allorché istituì nel 1622 la Sacra Congregazione De propaganda fide (“sulla fede da diffondere”) un’eccellente organizzazione che servì a contrastare la crescente minaccia protestante.
  5. Continuo rinnovamento. Occorre pubblicare costantemente informazioni e argomenti nuovi, anche non strettamente pertinenti, per denigrare l’avversario a un tale ritmo che, quando eventualmente risponderà, il pubblico sarà già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse. Questo metodo è utilizzato, fin dalla Riforma luterana, con i mezzi del progresso, contro la Chiesa Cattolica, accusata di ogni peggior crimine come l’Inquisizione, il processo a Galileo Galilei, le Crociate, la morale sessuale.L’addetto stampa di Goebbels, il dott. Wilfred Von Oven disse che “Propaganda significa combattere su tutti i campi di battaglia dello spirito, generare, moltiplicare, distruggere, sterminare, costruire, abbattere”. Se ci pensiamo è ciò che dal Concilio Vaticano II i “papi conciliari” ed i loro collaboratori stanno facendo nei confronti della Tradizione Cattolica e della liturgia.
  6. Contagio psichico. Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo. “L’uomo se non è percosso, non apprende” – Menandro – Epigrafe greca dei Diari di Goebbels 17/10/23 – 25/06/24 La propaganda è sempre un mezzo in vista di un fine. La propaganda che ottiene i risultati desiderati è buona. Così, la propaganda è il primo passo verso l’organizzazione.
  7. Trasposizione e contropropaganda. Scaricare costantemente sull’avversario i propri errori, difetti e responsabilità. Rispondere all’attacco con l’attacco. Surrogarsi all’avversario nelle sue vittorie. Se non è possibile negare le cattive notizie, se ne inventino di nuove per distrarre e incolpare qualcun altro. nel mondo moderno i media spesso fungono da “arma di distrazione di massa” da un vero problema verso uno più futile ma di interesse.
  8. Esagerazione calcolata e travisamento. Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave. Il continuo “allarme fascismo”, a seguito di futili episodi di cronaca da parte  di certi giornalisti e di alcuni media è giunto al grottesco ma su una fascia di popolazione che si vuole coccolare per mantenerne certo il voto, la tessera o l’acquisto del quotidiano, fa ancora presa. Nella cosiddetta falsa controinformazione, invece, prende piede un altro inganno: “stiamo assumendo al nostro servizio tutti gli esperti di profezie occulte – scriveva Joseph Goebbels nei suoi Diari – che riusciamo a trovare. Nostradamus dovrà rassegnarsi una volta di più ad essere citato”. E non solo lui. Pur di eccitare le passioni del volgo per crearsi una “pétite Eglise” o un piccolo orto ove raccogliere generosi oboli, o una visibilità personale a causa di frustrazioni, si scomodano i santi, i profeti e l’Apocalisse al fine di accalappiare creduloni e persone generalmente in disagio sociale o crisi religiose.
  9. Silenziamento. Passare sotto silenzio le cattive notizie e le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare con diversivi le notizie che potrebbero favorire l’avversario. Tipico delle sètte non solo religiose. “Non voltarti, continua a marciare”! – direbbe Goebbels, perché non deve giungere all’adepto alcun dubbio sulle persone o sui loro comportamenti poco ortodossi.
  10. Verosimiglianza. Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie, o calunnie e presentare questi argomenti come confermati da fonti solide, autorevoli e diversificate, se necessario, anche prezzolate. Il lettore contemporaneo faccia da sé il parallelismo più adeguato.
  11. Trasfusione. Diffusione di argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti emotivi e primitivi, tra cui pregiudizi, odi, amori.

E’ chiaro che per non cadere nelle trappole della propaganda e della manipolazione sono necessari degli anticorpi. Il primo è la ragionevolezza, il secondo è la prudenza, il terzo è lo studio, il quarto è l’informazione diretta, il quinto è una vita sociale attiva ed eterogenea, il sesto è il confronto con persone assolutamente fidate, il settimo è un’esperienza di vita personale in più ambienti, l’ottavo è il retto discernimento che proviene da un buon senso critico basato sui dati fattuali e sulla logica, il nono è la capacità di comprendere le menzogne e smascherarle, il decimo è costruirsi una rete di informatori ampia e molto credibile, l’undicesimo, che racchiude tutte le altre è la Fede, che se ben conosciuta, dà le risposte corrette ad ogni incertezza.

Il falò delle vanità

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di Alastair Crooke*

Fonte: Come Don Chisciotte

L’arroganza consiste nel credere che una narrazione artificiosa possa, di per sé, portare alla vittoria. È una fantasia che ha attraversato tutto l’Occidente, soprattutto a partire dal XVII secolo. Recentemente, il Daily Telegraph ha pubblicato un ridicolo video di nove minuti in cui si sostiene che “le narrazioni vincono le guerre” e che le battute d’arresto in uno scenario bellico sono un fatto accidentale: ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato, sia verticalmente che orizzontalmente, lungo tutto lo spettro – dal soldato delle forze speciali sul campo fino all’apice del vertice politico.

Il succo è che “noi” (l’Occidente) abbiamo una narrativa irresistibile, mentre quella della Russia è “goffa”, quindi, è inevitabile che gli Stati Uniti vincano.

È facile deriderla, ma possiamo comunque riconoscere in essa una certa sostanza (anche se questa sostanza è un’invenzione). La narrazione è ormai il modo in cui le élite occidentali immaginano il mondo. Che si tratti dell’emergenza pandemica, del clima o dell’Ucraina, tutte le “emergenze” sono ridefinite come “guerre”. E tutte sono”guerre” che devono essere combattute con una narrazione unitaria e obbligatoria di “vittoria”, contro la quale è vietata ogni opinione contraria.

L’ovvio difetto di questa arroganza è che richiede di essere in guerra con la realtà. All’inizio il pubblico è confuso, ma, man mano che le menzogne proliferano e si stratificano, la narrazione si separa sempre di più dalla realtà, anche se le nebbie della disonestà continuano ad avvolgerla. Lo scetticismo del pubblico si fa strada. Le narrazioni sul “perché” dell’inflazione, sul fatto che l’economia sia o no sana, o sul perché dobbiamo entrare in guerra con la Russia, iniziano a perdere colpi.

Le élite occidentali hanno scommesso tutto sul massimo controllo delle “piattaforme mediatiche”, sull’assoluto conformismo dei messaggi e sulla spietata repressione delle proteste come loro progetto per continuare a mantenere il potere.

Eppure, contro ogni previsione, i media mainstream stanno perdendo la loro presa sul pubblico statunitense. I sondaggi mostrano una crescente sfiducia nei confronti dei media statunitensi. Quando è apparso il primo show “anti-messaggio” di Tucker Carlson su Twitter, il rumore delle placche tettoniche che si scontravano è stato imperdibile, mentre più di 100 milioni di americani (uno su tre) ascoltavano l’iconoclastia.

Il punto debole di questo nuovo autoritarismo “liberale” è che i suoi miti narrativi chiave possono essere infranti. Basta poco; lentamente, la gente inizia a parlare della realtà.

Ucraina: come si vince una guerra che non si può vincere? La risposta dell’élite è stata la narrazione. Insistendo, contro la realtà dei fatti, che l’Ucraina sta vincendo e la Russia sta “cedendo”. Ma questa arroganza alla fine viene smontata dai fatti sul campo. Anche le classi dirigenti occidentali si rendono conto che la loro richiesta di un’offensiva ucraina di successo è fallita. Alla fine, i risultati militari sono più potenti delle chiacchiere politiche: Uno schieramento è distrutto, i suoi molti morti diventano la tragica “forza” per rovesciare il dogma.

Saremo in grado di estendere all’Ucraina l’invito ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte… [tuttavia] a meno che l’Ucraina non vinca questa guerra, non c’è alcun problema di adesione da discutere” – ha dichiarato Jens Stoltenberg a Vilnius. Così, dopo aver esortato Kiev a gettare altre (centinaia di migliaia) di uomini nelle fauci della morte per giustificare l’adesione alla NATO, quest’ultima volta le spalle alla sua protetta. Dopotutto, si trattava di una guerra non vincibile fin dall’inizio.

L’arroganza, ad un certo livello, risiede nel fatto che la NATO contrappone la sua presunta “superiorità” in termini di dottrina militare e di armamenti alla deprecata rigidità – e “incompetenza” – militare russa di stampo sovietico.

Ma le operazioni militari sul campo hanno rivelato la dottrina occidentale per quel che è – arroganza – con le forze ucraine decimate e le armi della NATO ridotte a carcasse fumanti. È stata la NATO ad insistere sulla rievocazione della Battaglia del 73 Est (nel deserto iracheno, ma ora trasportata in Ucraina).

In Iraq, il “pugno corazzato” aveva facilmente perforato le formazioni di carri armati iracheni: si trattava infatti di un “cazzottone” che aveva messo al tappeto l’opposizione irachena. Ma, come ammette francamente il comandante statunitense di quella battaglia di carri armati (il colonnello Macgregor), il suo risultato contro un’opposizione demotivata era stato in gran parte fortuito.

Tuttavia, il “73 Easting” è un mito della NATO, trasformato in dottrina generale per le forze ucraine – una dottrina strutturata sulla circostanza unica dell’Iraq.

L’arroganza – in linea con il video del Daily Telegraph – sale tuttavia in verticale per imporre la narrazione unitaria di una prossima “vittoria” occidentale anche sulla sfera politica russa. È una vecchia storia che la Russia sia militarmente debole, politicamente fragile e incline alle spaccature. Conor Gallagher ha dimostrato con ampie citazioni che era stata esattamente la stessa storia anche nella Seconda Guerra Mondiale, si trattava di un’analoga sottovalutazione della Russia da parte dell’Occidente – combinata con una grossolana sopravvalutazione delle proprie capacità.

Il problema fondamentale del delirio è che l’uscirne (se mai succede) avviene ad un ritmo molto più lento degli eventi. Questo disallineamento può definire gli esiti futuri.

Potrebbe essere nell’interesse del Team Biden supervisionare un ritiro ordinato della NATO dall’Ucraina, in modo da evitare che diventi un’altra debacle in stile Kabul.

Perché ciò avvenga, il Team Biden ha bisogno che la Russia accetti un cessate il fuoco. E qui sta il difetto (ampiamente trascurato) di questa strategia: semplicemente, non è nell’interesse della Russia “congelare” la situazione. Ancora una volta, l’ipotesi che Putin “prenderebbe al volo” l’offerta occidentale di un cessate il fuoco è un modo di pensare arrogante: i due avversari non sono congelati nel senso basilare del termine – come in un conflitto in cui nessuna delle due parti è riuscita a prevalere sull’altra e sono bloccate.

In parole povere, mentre l’Ucraina è strutturalmente sull’orlo dell’implosione, la Russia, al contrario, è del tutto plenipotente: Dispone di forze ingenti e fresche, domina lo spazio aereo e ha quasi il dominio dello spazio elettromagnetico. Ma l’obiezione fondamentale ad un cessate il fuoco è che Mosca vuole che l’attuale collettivo di Kiev se ne vada e che le armi della NATO siano fuori dal campo di battaglia.

Quindi, ecco il problema: Biden ha un’elezione, e quindi sarebbe adatto alle esigenze della campagna democratica avere un “disimpegno ordinato”. La guerra in Ucraina ha messo in luce troppe carenze logistiche americane. Ma anche la Russia ha i suoi interessi.

L’Europa è la parte più intrappolata dall’”allucinazione”, fin dal momento in cui si è gettata senza riserve nel “campo” di Biden. La narrazione dell’Ucraina si è interrotta a Vilnius. Ma l’amour propre di alcuni leader dell’UE li mette in conflitto con la realtà. Vogliono continuare ad alimentare il tritacarne ucraino, a persistere nella fantasia di una “vittoria totale”: “non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin… Dobbiamo correre tutti i rischi per questo. Nessun compromesso è possibile, nessun compromesso“.

La classe politica dell’UE ha preso così tante decisioni disastrose in ossequio alla strategia statunitense – decisioni che vanno direttamente contro gli interessi economici e di sicurezza degli europei – che ha molta paura.

Se la reazione di alcuni di questi leader sembra sproporzionata e irrealistica (“Non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin”) – è perché questa “guerra” tocca motivazioni più profonde. Riflette il timore esistenziale di un disfacimento della meta-narrazione occidentale che farà crollare la sua egemonia e, con essa, la struttura finanziaria occidentale.

La meta-narrazione occidentale “da Platone alla NATO, è quella di idee e pratiche superiori le cui origini risalgono all’antica Grecia e che, da allora, sono state raffinate, estese e trasmesse nel corso dei secoli (attraverso il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e altri sviluppi presumibilmente unicamente occidentali), cosicché oggi noi occidentali siamo i fortunati eredi di un DNA culturale superiore“.

Questo è ciò che probabilmente avevano in mente gli autori del video del Daily Telegraph quando avevano insistito sul fatto che “la nostra narrativa vince le guerre”. La loro arroganza risiede nella presunzione implicita che l’Occidente, in qualche modo, vince sempre – è destinato a prevalere – perché è il destinatario di questa genealogia privilegiata.

Naturalmente, al di fuori della comprensione generale, è accettato che la nozione di “Occidente coerente” sia stata inventata, riproposta e utilizzata in tempi e luoghi diversi. Nel suo nuovo libro, The West, l’archeologa classica Naoíse Mac Sweeney contesta il “mito del padrone”, sottolineando che era stato solo “con l’espansione dell’imperialismo europeo d’oltremare nel XVII secolo che aveva iniziato ad emergere un’idea più coerente di Occidente, utilizzata come strumento concettuale per tracciare la distinzione tra il tipo di persone che potevano essere legittimamente colonizzate e quelli che potevano essere legittimamente i colonizzatori”.

Con questa invenzione dell’Occidente era arrivata anche l’invenzione della storia occidentale, un lignaggio elevato ed esclusivo che ha fornito una giustificazione storica per la dominazione occidentale. Secondo il giurista e filosofo inglese Francis Bacon, nella storia dell’umanità ci sono stati solo tre periodi di apprendimento e civiltà: “uno tra i Greci, il secondo tra i Romani e l’ultimo tra noi, cioè le nazioni dell’Europa occidentale“.

Il timore più profondo dei leader politici occidentali – complice la consapevolezza che la “Narrazione” è una finzione che raccontiamo a noi stessi, pur sapendola essere di fatto falsa – è che la nostra epoca sia stata resa sempre più e pericolosamente dipendente da questo meta-mito.

Se la fanno sotto non solo a causa di una “Russia potente”, ma piuttosto per la prospettiva che il nuovo ordine multipolare guidato da Putin e Xi, che si sta diffondendo in tutto il mondo, faccia crollare il mito della civiltà occidentale.

Fonte: www.strategic-culture.org
Link: https://strategic-culture.org/news/2023/07/17/a-bonfire-of-the-vanities/

Scelto e tradotto da Markus per www.comedonchisciotte.org

*Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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