Come nasce la paura per i vaccini

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Ricordiamo ai nostri lettori che la posizione tenuta dal nostro Circolo Christus Rex-Traditio durante e dopo la Pandemia di Covid-19 è analoga a quella espressa nei comunicati ufficiali dei principali istituti religiosi tradizionali, in particolar modo quello dell'Istituto Mater Boni Consilii (www.sodalitium.biz). Noi siamo per la piena libertà di coscienza a riguardo della vaccinazione, contestualizzata nei metodi utilizzati per imporla come obbligo da parte dello Stato (col placet del Vaticano), che ci sono parsi assurdi perché tali farmaci non solo non immunizzavano (il Covid si prendeva anche con tre dosi di vaccino) ma provocavano effetti avversi, anche gravi e mortiferi, nelle persone il cui organismo ne rigettava le sostanze. Ritenevamo e riteniamo scellerata la gestione della pandemia, anche alla luce degli scandali che stanno emergendo, col senno di poi. La libertà di scelta avrebbe salvato da danni permanenti o dalla tomba molte persone, se avessero potuto fare accertamenti preventivi o, semplicemente, se per mille motivi non desideravano sottoporsi all'iniezione. Per noi questi sono i fatti. Ma non siamo mai stati né siamo "no vax", tanto che molti di noi hanno optato per la vaccinazione e stanno tutti bene. 
Il Circolo Christus Rex-Traditio
del dott. Alberto Enrico Maraolo* – articolo ne “Gli Appunti – di Stefano Feltri”
Il ministro della Salute Schillaci ha prima nominato e poi revocato medici no-vax in un organismo che si occupa di vaccinazioni. Ma il problema del rapporto tra scienza e politica è più complesso

Sarà Orazio Schillaci il secondo ministro del governo Meloni a “saltare”, a un anno esatto di distanza da Gennaro Sangiuliano? Se per il giornalista napoletano al comando del dicastero della Cultura fino al 2023 galeotto fu un affaire sentimentale alquanto tragicomico, per l’ex rettore di Tor Vergata potrebbe risultare esiziale il mezzo pasticcio delle nomine relative al nuovo NITAG (National Immunization Technical Advisory Group, ossia il Gruppo Tecnico Consultivo Nazionale sulle Vaccinazioni), organismo la cui istituzione è richiesta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per le interlocuzioni del caso.

Il 16 agosto infatti Schillaci ha annullato il decreto da lui stesso firmato dieci giorni prima con cui si definiva la nuova composizione di questo organo consultivo, che non produce documenti vincolanti, ma in linea teorica dovrebbe essere frequentemente consultato dal ministero per informare raccomandazioni solide in tema di politiche vaccinali, che tuttavia risentono anche della grande autonomia delle Regioni con ampie differenze tra l’una e l’altra.

Il problema era la nomina di due medici con idee alquanto controverse sui vaccini: Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle, verosimilmente “spinti” nel NITAG da vicinanza politica ad ambienti nella maggioranza, come desumibile dalla difesa accorata dei due (ormai ex) consulenti da parte di esponenti di Fratelli d’Italia e Lega in nome della “democrazia” e della “libertà d’espressione” in ambito scientifico.

Paolo Bellavite è un ematologo, ex docente universitario di patologia generale in pensione, nemmeno più iscritto da anni all’Ordine dei medici, famoso per affermazioni secondo cui “i vaccini contro il Covid-19 avrebbero causato effetti avversi gravi più di tutti i vaccini della storia umana e un numero di vittime paragonabile a quelle del virus stesso”.

Eugenio Serravalle è un pediatra che risulta tra gli elementi di spicco di note associazioni di forte contrasto all’immunizzazione attiva, come il Coordinamento del Movimento italiano per la libertà di vaccinazione (Comilva) e l’Associazione di studi e di informazione sulla salute (Assis).

Entrambi sono molto vicini al mondo dell’omeopatia. Nessuno dei due ha un curriculum con pubblicazioni scientifiche solide sul tema vaccinale.

Contro di loro si è sollevata la protesta pressoché unanime della comunità scientifica a livello individuale e di società rappresentanti le varie discipline: Schillaci avrebbe chiesto loro un passo indietro, e al loro rifiuto ha sciolto la commissione per la spinta a un certo punto insostenibile del mondo da cui proviene, quello accademico, a quanto pare attirando le ire dei piani alti del governo che sembrava tenere molto a queste nomine.

La strana democrazia applicata alla scienza

                                                                                 In foto il ministro della Salute Orazio Schillaci

 

E’ noto che la Sanità in Italia sia pesantemente influenzata dalla politica. Dunque, al fianco di illustri esponenti del mondo medico-scientifico in Italia non è infrequente trovare personaggi con un curriculum molto meno solido, la cui selezione risponde a logiche politiche.

In questo caso, si vellica una potenziale fetta d’elettorato (no-vax, esitanti, scettici, complottisti) che può fare comodo mobilitare specialmente in un contesto come quello attuale a bassa affluenza elettorale: una quota di elettori piccola, ma agguerrita e motivata, può fare comodo.

Uno dei ragionamenti richiamati dai stessi diretti interessati è quello della necessità della pluralità d’opinioni in nome della democrazia. C’è chi risponde che è come mettere mafiosi negli enti anti-mafia o terroristi nelle squadre anti-terrorismo e che “la scienza non è democratica”.

Tuttavia, questo tipo di risposta finisce paradossalmente con il rafforzare i bersagli che si vuole colpire. La scienza è democratica per definizione, perché permette a chiunque di poter contribuire all’avanzamento in un determinato campo dello scibile.

La premessa è che ciò deve avvenire in un perimetro di regole ben definito: il quadro epistemologico in cui ci si muove da tempo è quello descritto dal filosofo Karl Popper con il famoso principio di falsificabilità, che in ambito medico si declina da oltre tre decenni secondo i dettami della “medicina basata sulle evidenze” (quest’ultimo termine sarebbe meglio traducibile con “prove d’efficacia”).

La scienza è dunque democratica ma allo stesso tempo elitaria, nella misura in cui occorrono anni di studio e preparazione per padroneggiarne le regole, per cui è implausibile che, per esempio, un dotto studioso di papirologia, per quanto eminente nel suo campo, possa parlare la stessa lingua di un epidemiologo con decenni di lavoro sul campo e con un curriculum ricco di numerosi articoli scientifici su riviste prestigiose.

Rimanendo poi in ambito sanitario, considerando il grado di iper-specializzazione che ormai ogni settore ha raggiunto, appare curioso conferire una patente di esperti di vaccini a personaggi che, al di là delle loro idee, hanno un curriculum che nemmeno ricomprende i temi legati all’immunizzazione.

Dunque il problema non è la “democrazia” ma la competenza. Nel reparto di ingegneria di un’azienda privata che produce microchip nessuno metterebbe un laureato in papirologia. Purtroppo, nella sanità italiana ciò in un certo senso succede.

 

Anti-vaccinismo: una vecchia storia

Viviamo in tempi di polarizzazione. Alcuni traggono vantaggi dall’alimentare il complottismo e dal ventilare l’esistenza di una realtà “altra”, nell’evocare grandi burattinai e piani perversi di controllo delle masse tramite “l’inoculazione” (dei vaccini).

Tuttavia, la paura dei vaccini non nasce certo oggi ma è connaturata alla nascita stessa della pratica vaccinale, anzi, della sua antesignana: la variolizzazione, consistente nell’inoculare deliberatamente in un individuo sano una piccola quantità di materiale infetto prelevato da un malato di vaiolo in forma lieve..

Lo storico statunitense Stephen Coss nel suo The Fever of 1721, purtroppo non tradotto in italiano, racconta in maniera incisiva e incalzante di come l’epidemia di vaiolo che colpì il New England, all’epoca ancora colonia britannica, nell’anno del titolo cambiò per sempre la storia nordamericana e dunque del mondo.

La società e la politica del New England si infiammarono su come rispondere alla pestilenza, e uno dei primi magazine nordamericani, il New England Courant, fu fondato come settimanale da James Franklin, fratello del più famoso Benjamin.

Il Courant ebbe come prima ragione di vita quello di contrastare con ogni mezzo la variolizzazione, in realtà già effettuata in tempi antichissimi in Cina, India e Africa.

Poiché era una pratica importata dagli schiavi africani, ebbe una violenta opposizione, generando schieramenti che si scontrarono non solo in senso metaforico. In quell’humus si formò l’embrione della futura dirigenza della rivoluzione americana, secondo Coss.

Il figlio di Benjamin Franklin alcuni anni dopo morì di vaiolo: il padre, preso da mille dubbi, non aveva sottoposto il figlio a variolizzazione. Dopo la tragedia, divenne un fervido sostenitore della pratica.

Nel 1900 un influente medico statunitense, James Martin Peebles, molto prolifico come autore di testi sconfinanti nello spiritualismo e nello psichismo, scrisse un libro intitolato Vaccination: A Curse and a Menace to Personal Liberty, with Statistics Showing Its Dangers and Criminality in cui si affermava che “la pratica della vaccinazione… non solo è diventata la minaccia principale e il pericolo più grave per la salute delle nuove generazioni, ma anche l’oltraggio supremo alla libertà personale del cittadino americano”. Nel XIX secolo nel Regno Unito erano fiorite pubblicazioni del tipo “Anti­Vaccinator” o “The National Anti­Compulsory Vaccination Reporter”.

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Immagine con licenza Creative Commons – Questa vignetta del 1802, creata dal celebre satirico inglese James Gillray, rappresenta in modo caricaturale la somministrazione del vaccino contro il vaiolo bovino. Ambientata all’Ospedale di St. Pancras, l’illustrazione mostra l’angoscia dei pazienti, raffigurando giovani donne terrorizzate mentre ricevono il vaccino e altre persone dai cui corpi spuntano delle mucche. L’artista in questo modo ridicolizzava ed esasperava le tesi diffuse dagli oppositori della vaccinazione, i quali paventavano il rischio che le persone vaccinate potessero manifestare tratti fisici simili a quelli dei bovini
La paura dei vaccini

Dunque, il problema non è legato alle nomine di Schillaci, né ai vaccini anti-COVID-19 né tanto meno al farlocco legame tra vaccinazione e anti-morbillo e autismo, purtroppo al centro di uno degli scandali scientifici più grandi della storia della medicina, mix gravissimo di dati falsificati e conflitti d’interesse.

Un bell’excursus sulle ragioni profonde della paura nei confronti dei vaccini, che in realtà può assumere varie forme e sfumature (dal rifiuto totale dei no-vax all’esitanza), è fornito da un libro del 2016 dello storico della medicina Andrea Grignolio, intitolato Chi ha paura dei vaccini?.

Grignolio attinge grandemente da neuroscienze e psicologia cognitiva, citando abbondantemente il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman, il quale fu insignito nel 2002 dell’onorificenza “per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza”, nonché un altro celebre psicologo ed economista quale Herbert Simon, che coniò il concetto di “razionalità limitata”.

In sintesi, a causa di un’evoluzione secolare avvenuta in un ambiente molto diverso da quello odierno, in cui per millenni la sopravvivenza giornaliera era l’orizzonte per tutti i cacciatori-raccoglitori, la mente umana non è strutturata per valutare correttamente le proiezioni future.

Questo retaggio evolutivo spiega perché, di fronte a decisioni complesse che includono elementi di rischio e incertezza, il nostro cervello non segue percorsi puramente razionali. Il cortocircuito tra il sistema intuitivo e quello razionale del nostro cervello provoca le più frequenti distorsioni cognitive alla base dell’anti-vaccinismo.

Infatti, il processo decisionale umano è influenzato da due tendenze psicologiche principali: una forte avversione alle perdite e una stima eccessiva degli eventi poco probabili. In ambito economico, la prima significa che il dolore di perdere una somma di denaro è percepito come più intenso della gioia di guadagnarne una uguale.

Di conseguenza, le persone sono più propense a correre dei rischi per scongiurare una perdita che per realizzare un profitto.

In ambito vaccinale, la nostra mente è predisposta a dare eccessiva importanza alle informazioni su rischi elevati, anche se statisticamente improbabili, mentre tende a sminuire o ignorare i dati sui benefici e sulla sicurezza, persino quando provengono da fonti scientifiche autorevoli.

Chi teme i rarissimi effetti collaterali gravi dei vaccini finisce per accettare un rischio molto maggiore, usando e abusando di farmaci come gli antinfiammatori (FANS) per disturbi di lieve entità, i cui effetti avversi sono centinaia di volte più probabili.

Si ha una più alta accettazione di rischio di effetto avverso per curare un problema, anche se modesto come un attacco di cefalea, piuttosto che di rischio di reazione indesiderata per ottenere un beneficio futuro che può essere percepito come sfuggente, ovvero l’evitare di contrarre malattie della cui pericolosità sovente non c’è più contezza proprio in ragione dell’abbattimento dell’incidenza grazie ai vaccini.

Pesano infine anche i fattori sociali: l’innalzamento dell’età della maternità e il contestuale crollo del tasso di fecondità fanno sì che l’ansia derivante dai rischi di una gravidanza in età avanzata, e dalla consapevolezza di avere meno opportunità future, spingano i genitori a eludere argomenti percepiti come stressanti. Ne consegue che, nel rapporto con i medici, le raccomandazioni sulle vaccinazioni sono tra i consigli più frequentemente disattesi.

La speranza per il NITAG del futuro

I vaccini sono farmaci, dunque con i loro benefici ma anche effetti collaterali. Come ogni intervento medico, implicano un fisiologico rapporto rischio-beneficio. Storicamente sono stati il mezzo di maggiore successo della storia della medicina, tuttavia vi sono ragioni ancestrali, cablate nei nostri cervelli, per cui attecchiranno sempre suggestioni e idee contrarie al loro utilizzo, spesso mascherate da appelli alla prudenza o dal richiamo alla libertà di scelta.

Purtroppo su queste ragioni da decenni alcuni speculano, sia in ambito medico che politico. Serravalle e Bellavite sono solo i protagonisti del momento della scena anti-vaccinista, altri verranno fuori, verosimilmente facilitati anche da ciò che succede oltreoceano: negli Stati Uniti l’amministrazione Trump tramite il controverso ministro RFK junior ha già profondamente impattato sulla versione locale del NITAG, l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP), che peraltro ha un potere molto superiore e non meramente consultivo.

Al di là di Serravalle e Bellavite, che hanno monopolizzato il dibattito, hanno lasciato perplessi anche nomine di specialisti lontani dal mondo dei vaccini, afferenti a branche come chirurgia e ortopedia. La speranza per il NITAG del futuro è quella di avere non solo esponenti di spicco, di indiscusso valore scientifico sul piano nazionale e internazionale, delle branche più coinvolte (malattie infettive, immunologia, igiene e medicina preventiva, pediatria, epidemiologia…), possibilmente scevri da conflitti di interesse, ma anche figure quali psicologi cognitivi, economisti (e farmaco-economisti), divulgatori scientifici, il cui know-how sarebbe quanto mai prezioso per vincere la battaglia sul piano culturale e per fornire raccomandazioni che possano avere un’elevata probabilità di essere ben accolte dalla popolazione.

Sarebbe infine utile anche avere a bordo rappresentanti delle associazioni dei pazienti, visto che la stessa “evidence-based medicine” (EBM) enfatizza l’importanza dei “valori e delle preferenze” dei soggetti a cui le linee guida sono indirizzate.

L’EBM è la cornice epistemologica in cui da trent’anni si muove la medicina occidentale, definita come l’integrazione delle migliori prove di efficacia clinica (ricavate da studi rigorosi) con la esperienza e l’abilità del medico nonché appunto i valori del paziente, teorizzato e formalizzato da un gruppo di medici e accademici della McMaster University in Canada, ma il cui padre spirituale è l’epidemiologo scozzese Archibald Cochrane.
Vero è che i vaccini hanno tra i principali target, specialmente per quelli obbligatori, i bambini, ma ve ne sono tanti altri che hanno un potenziale spazio nei cosiddetti “pazienti fragili”, come gli anziani e gli immunodepressi di varia natura (pazienti per esempio ematologici, oncologici, reumatologici).

Per questo sarebbe utile un organo consultivo veramente plurale nel senso che metta insieme esperti di numerose discipline la cui pratica clinica possa implicare la proposta di un programma di vaccinazioni, non quello che mette vaccinisti e anti-vaccinisti sullo stesso piano.

 

*Alberto Enrico Maraolo è ricercatore in Malattie Infettive presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”; consigliere nazionale SIMIT, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali; fellow dell’ESCMID, la Società Europea di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive.

 

Disclaimer: l’articolo esprime esclusivamente il parere personale dell’autore e non rappresenta in alcun modo la posizione della Società scientifica (la SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) del cui consiglio direttivo fa parte.

Fonte: https://substack.com/app-link/post?publication_id=1453454&post_id=171505546&utm_source=post-email-title&utm_campaign=email-post-title&isFreemail=false&r=1rklph&token=eyJ1c2VyX2lkIjoxMDY3NzcwNjEsInBvc3RfaWQiOjE3MTUwNTU0NiwiaWF0IjoxNzU1NzUyNTkyLCJleHAiOjE3NTgzNDQ1OTIsImlzcyI6InB1Yi0xNDUzNDU0Iiwic3ViIjoicG9zdC1yZWFjdGlvbiJ9.pDg01T82E0CJWqw6MQwM037BNll2YjRfxUbrzPf7dXk 

 

 

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